Questa è una storia tramandata fino a noi da padre in figlio. Sono fatti già raccontati nelle veglie a lume di petrolio e che ancora oggi qualcuno ricorda. Eppure sono avvenuti negli anni 20 del secolo XIX°. Dunque 190 anni fa! Nel raccontarla riporto quanto allora scrisse Mattia Mariani, cuoco della cesenate famiglia Masini. Oltre alla sua cronaca abbiamo scovato in un mercatino di antiquariato una lettera dal contenuto riservato inviata nell’agosto 1826 da Biagio Turchi, canonico della Collegiata di San Cristoforo di Longiano, inviata presumibilmente al Cardinale Legato, massima autorità della Legazione di Forlì.
Da diversi anni, scriveva Mariani, non passava notte che nelle case dei contadini, nelle chiese e nei casini di campagna dei cesenati i ladri non facessero furti.
Una temuta banda di malfattori scorrazzava impunemente nel territorio. A capo di questi malandrini vi erano un tale Ceccaroni Francesco di poco più di 30 anni, sposato e padre di tre figli, da tutti conosciuto come “Antoniolo” ed un’altra famosa figura di spicco di cui è giunto fino a noi solo il soprannome “Belpinin”
Allora, in quella Romagna anticlericale c’era un malcontento profondo e largamente diffuso tra la popolazione, e ciò spiega le connivenze e le complicità che favorirono questa banda. I banditi, quando non erano ospitati da persone compiacenti, usavano come giaciglio anche i campi coltivati a granoturco ed a canapa. Il loro covo, la cui memoria è giunta fino a noi, era una grotta nel monte Beccavento che si trovava allora a ridosso della città, una spelonca conosciuta come “La Tana dei Bretoni”.
In più occasioni carabinieri pontifici e soldati furono sul punto di arrestare la banda. In particolare, la notte del 23 dicembre del 1826 nove carabinieri circondarono una casa dove erano ospitati i malfattori; ma nello scontro a fuoco rimase vittima un militare ed altri due vennero feriti. I delinquenti riuscirono ancora una volta a fuggire.
Memorabili i furti ai Monti di Pietà di Longiano ed a quello di Forlimpopoli. In entrambi i casi rubarono oggetti preziosi e danari. Dopo il furto a Longiano, giunse al Canonico Turchi la voce che i banditi avevano tenuta nascosta la refurtiva presso il ponte sul Rubicone per 10 giorni, prima di averla recuperata. Parte di questa refurtiva venne poi portata da qualcuno al Monte di Pietà di Bertinoro. Turchi indicava poi nella sua lettera varie località del cesenate che i malandrini frequentavano e suggeriva l’impiego di una spia.
I consigli del canonico Turchi per catturare Antoniolo e Belpinin nella lettera del 26 agosto 1826 ritrovata da Lelio Burgini
Dopo lo scontro a fuoco del 23 dicembre le autorità decisero di aumentare il numero di soldati presenti in città ma soprattutto misero una invitante taglia sui banditi: 300 scudi per i componenti della banda catturati vivi, 200 per i banditi morti e 100 scudi per chi avesse fatto la spia e collaborato alla loro cattura. A quanto pare la cosa funzionò, la banda di Antoniolo e Belpinin era ormai braccata, non potevano più fidarsi di nessuno. Nel marzo 1827 venne trovato morto, per un colpo di archibugio alla schiena, un componente della banda chiamato “Placanelli”, ucciso dallo stesso Ceccaroni, che si era convinto lo volesse tradire.
Il tradimento alla fine ci sara’.
Erano le 22.30 del 12 aprile 1827, il Giovedì Santo. Antoniolo assieme ad altri due compagni si ritrovò sulla via Garampa nei pressi dei Cappuccini a pochi passi dalla città. Quella sera, uno dei due compari aveva ideato il tradimento; qualche ora prima,infatti, con la scusa di venire in città per prendere del cibo si era recato dai Carabinieri ed aveva raccontato dell’appuntamento. I militari erano già appostati: Antoniolo camminava davanti ai complici quando il traditore imbracciò l’archibugio e gli sparò alla schiena. I carabinieri intervennero prontamente e spararono alcuni colpi di fucile contro il terzo (chiamato “Fafagnone”) che tentava di scappare. Fafagnone ferito venne subito catturato e condotto alle prigioni della Rocca.
I Carabinieri chiamarono un contadino col biroccio, caricarono il cadavere di Antoniolo, e lo condussero sul piazzale della chiesa dei Servi. La mattina seguente sistemarono sul biroccio una sedia, vi posero seduto il corpo di Antoniolo vestito con abito contadinesco, un archibugio, una pistola, ed altre armi, una ventina fra chiavi e grimaldelli, ed una beretta in testa. Il biroccio attraversò la città fino all’attuale Piazza del Popolo e lì rimase fino al pomeriggio del Sabato Santo, per essere osservato da tutti i cesenati.
Restava solo il Belpinin ma di lui non si seppe più nulla. Scomparso! Molti dicevano che si era rifugiato in un altro Stato, ma stando alle storie raccontate al lume di petrolio Belpinin ritornò più volte a Cesena, nel suo covo al Beccavento. Da qui il nome del luogo, “la Caverna di Belpinin”.
Lelio Burgini
Interessante, racconto molto bello di cui non conoscevo l’esistenza.
Belli anche i disegni, dove si trovano ? Uno sembra un ex voto.