di Bruno Giordano
Antonio Severi, detto Bascozza, e Pietro Peroni, detto Ragnino, furono due briganti temuti e inafferrabili che vissero a Cesena nel XVIII secolo. Si diceva che fossero figli di nessuno, cresciuti tra la povertà e la delinquenza, che avevano fatto della vita criminale il loro modo di sopravvivere.
Per anni, i due seminarono il terrore in tutta la città, compiendo rapine, scippi e omicidi con estrema violenza. La loro fama di briganti spietati si era diffusa anche fuori dai confini del paese, tanto che molti li temevano e pochi osavano sfidarli.
La loro crudeltà raggiunse il culmine nel 1730 nel Borgo Chiesanuova. Era una notte buia, i due briganti si aggiravano nel Borgo più antico della città, un quartiere pericoloso da sempre sotto il controllo dei fuorilegge. I lumi a petrolio appesi ai lati della strada offrivano una luce fioca e incerta.
Avevano appena compiuto una rapina in una locanda quando furono avvistati da due guardie in pattuglia. I briganti, armati di archibugio, non esitarono a far fuoco contro i gendarmi, che risposero al fuoco cercando riparo fra le case cadenti annerite dal fumo delle botteghe. La sparatoria durò diversi minuti e i numerosi colpi riecheggiarono assordanti tra le abitazioni disordinate fino ai piedi del colle Garampo. La conclusione fu drammatica, i briganti riuscirono a colpire i due gendarmi, uccidendoli sul posto, riuscendo a fuggire nella notte.
Il sanguinoso avvenimento scosse profondamente la città, che chiese a gran voce la cattura dei malfattori.
Le autorità locali promisero una ricompensa in denaro a chi forniva notizie sui due criminali. Venne organizzata un’imponente caccia all’uomo per catturarli. Dopo giorni di ricerca, traditi da un parente ingolosito dalla taglia, i briganti furono finalmente individuati in una grotta nei pressi delle Zolfatare di Mercato Saraceno.
Circondati da una decina di gendarmi ancora scossi da dolore e rabbia per la morte dei loro compagni, i manigoldi furono trucidati da decine di schioppettate.
La loro uccisione suscitò grande soddisfazione tra i cesenati, finalmente al sicuro dopo un lungo periodo di terrore.
Ma la giustizia non aveva ancora finito il suo corso.
I cadaveri furono esposti su un palchetto in piazza Maggiore (oggi piazza del Popolo) e successivamente i corpi vennero decapitati dagli sbirri.
Il 21 ottobre del 1730 le loro teste vennero esposte, come era consuetudine all’epoca, in una gabbia sull’arco esterno di Porta Fiume, come monito per tutti coloro che avessero osato sfidare la legge. Le teste di Bascozza e Ragnino rimasero su quell’arco per quasi un secolo.
Il 29 Novembre 1822 la gabbia con le teste mummificate finalmente venne rimossa, come se la città volesse cancellare ogni traccia della loro infamia, ma intanto un nuovo detto popolare che li riguardava entrò nel linguaggio comune e sopravvisse fino ai primi decenni del ‘900:
” te t’vu fini cume Bascoza”