di Bruno Giordano
Sono in molti a non sapere che dalla Piazza del Popolo fino a Porta Fiume l’intero odierno Viale Mazzoni era occupato, fino alla fine dell’800, dal più antico e misterioso quartiere della nostra città.
Sorto lungo la via Emilia nel secondo secolo a.C., era un tempo conosciuto con il nome di Borgo Cesariano. La tradizione popolare ci tramanda l’origine dell’antico toponimo. Nell’anno 82 a.C. a seguito della guerra civile tra i partigiani di Mario e i partigiani di Silla, Cesena, e il quartiere, subirono ingenti danni e devastazioni. La sorte volle che qualche anno dopo, Giulio Cesare, di ritorno dalla spedizione delle Gallie, si fermasse a Ravenna per riflettere se attraversare o meno armato il Rubicone. I cesenati, approfittando della presenza sul territorio dell’illustre generale, vollero incontrarlo e chiedere un contributo, a lui o al Senato di Roma, per ricostruire la città e il quartiere. La richiesta andò a buon fine, ed al quartiere ricostruito venne dato il nome di Borgo Cesariano. Nel 1700, con la ristrutturazione della chiesa di San Domenico, divenne infine per tutti il Borgo Chiesanuova.
Il Borgo Chiesanuova era un affollato quartiere, abitato solo nei pressi di Piazza del Popolo dalla media e alta borghesia, mentre la stragrande maggioranza dei residenti, fatta di poveri e miserabili, era relegato verso Porta Fiume e nella parte a monte del Borgo.
Era certamente la zona più caratteristica di Cesena: a tutti i forestieri provenienti da Bologna, che entravano in città, il borgo si mostrava con un interminabile e oscuro portico, elevato notevolmente rispetto al livello stradale, con archi e pilastri ineguali, con scalette rotte e irregolari; aveva insomma qualche cosa di medievale. Le attività svolte all’interno del borgo erano tutte artigianali e le più svariate: dal sellaio alla tintoria; dal falegname al fabbro ferraio e, ovviamente, non mancavano osterie o taverne.
Purtroppo, gravi problemi di ordine pubblico affliggevano costantemente il quartiere: omicidi e ferimenti erano infatti all’ordine del giorno in questa contrada. Gli atti criminosi restavano spesso impuniti, per le molteplici vie di scampo che Chiesanuova, con i tortuosi vicoli e gli oscuri portici, offriva ai fuggitivi, e per la barriera di omertà che miseria e paura erigevano fra gli abitanti e le forze dell’ordine. Un ulteriore grave problema era costituito da continui smottamenti e frane. La situazione di quest’area divenne critica a partire dal dicembre 1839, quando, per le insistenti piogge, un’ingente massa di fango prese a scivolare, minacciando seriamente diverse case.
Ebbero inizio continui sopralluoghi e vennero attuati provvedimenti d’emergenza. Ma nonostante la continua rimozione dei detriti, la situazione non migliorò affatto, anzi, nuovi smottamenti portarono al crollo di una prima abitazione.
Gli abitanti delle case limitrofe, presi dal panico chiesero alla municipalità di essere trasferiti in altre parti della città, stante il grave pericolo e la loro estrema indigenza.
Tutto questo creò un senso di incertezza e di disprezzo, che fece maturare l’idea negli amministratori di allora di intervenire in modo drastico con la demolizione totale del Borgo.
Per giustificare culturalmente l’abbattimento, si iniziò a descriverlo come al centro di qualcosa di misterioso, sordido, lugubre e… sporco. Cronisti del tempo scrissero: “con le sue botteguccie piene di rifiuti di ogni genere … con i suoi muri stillanti acqua e lezzo, con le spesse colonne dietro le quali, nelle ore di notte, soventi volte vibra la lama del coltello o rintrona una qualche detonazione… “ senza parlare degli “scricchiolii sinistri” che come gemiti provengono dalle abitazioni e rimbombano sotto i portici anneriti dai fuochi delle botteghe”
Insomma, pian piano tutta la popolazione si aspettava di vederne la fine. Nel 1860, con il passaggio dal vecchio al nuovo regime, la demolizione dell’antico quartiere prende il via con una sollecitudine inusuale. Un’impresa che occuperà quasi interamente gli ultimi decenni del XIX secolo e che lascerà alla fine un marchio incancellabile sul volto della città. I lavori partirono nel 1861, con grande entusiasmo, con il fronte posto sulla piazza Maggiore.
Il primo problema da affrontare fu la ricollocazione delle famiglie sfollate dal Borgo. Vennero individuate a tale scopo alcune aree, in particolare, la zona compresa fra la Barriera e la nuova stazione ferroviaria: qui, dal 1861 l’amministrazione comunale mise a disposizione i terreni per costruire, con i materiali di recupero provenienti dal borgo, le nuove abitazioni. La costruzione delle nuove case divenne un obbligo cui dovettero sottostare per contratto, gli assuntori dei lavori di demolizione Nacque così in quei giorni l’attuale Corso Cavour .
Nel 1869 la giunta municipale decise di affrontare con il necessario impegno tecnico e finanziario un secondo problema: la riqualificazione architettonica di tutta la vasta area oggetto delle demolizioni. Venne interpellato l’architetto più importante dell’epoca, Giuseppe Mengoni, famoso per aver progettato la Galleria Vittorio Emanuele di Milano. Il tema che gli venne proposto riassunse un po’ tutte le esigenze che fino ad allora erano emerse: la chiusura del quarto lato della piazza con un mercato coperto, la costruzione di una serie di nuove case, la sistemazione della viabilità e il contenimento del colle Garampo.
Il progetto, elaborato dal Mengoni nel suo studio milanese in stretto rapporto con l’ufficiotecnico comunale, venne completato nel giugno del 1870.
Grande entusiasmo suscitò l’elemento centrale del progetto, il nuovo mercato coperto, che rispondeva alla fondamentale esigenza di dotare la Piazza di una chiusura qualificata. Il famoso architetto lo progettò con un grande vano a pianta rettangolare di grande estensione, che poteva contenere 134 botteghe o posti vendita. La struttura portante, divisa in tre navate, aveva colonne in ghisa, grandi finestre superiori in vetro ed il tetto di copertura in tegole, con una grande lanterna centrale.
Il costo stimato, esorbitante (450.000 lire circa due milioni di euro di oggi), fece scemare in breve tempo il progetto: esso venne considerato troppo oneroso, irrealizzabile. Gli entusiasmi si spensero definitivamente e si tornò alla più modesta e precedente proposta dell’ingegnere comunale Davide Angeli, quella di costruire solo un muro di sostegno lungo il perimetro del colle, orlato da merli di stile medioevale (lo stesso di oggi). Tutto il resto sarebbe stato rinviato a tempi migliori, che non giungeranno mai.
Dopo l’entusiasmo iniziale i lavori di demolizione proseguirono fra mille difficoltà di ordine tecnico ed economico. Nel 1872 lo spazio che si stava definendo assunse il nome di Viale Jacopo Mazzoni (filosofo e letterato cesenate del ‘500), e sempre più a rilento si continuò a demolire fino al 1879 quando le operazioni vennero interrotte. Riprenderanno solamente dodici anni dopo, nel 1891, per concludersi nel 1897 con la demolizione dell’ultima casa rimasta in via Monte Oliveto (nei pressi di Porta Fiume), dopo la strenua quanto vana resistenza della tenace proprietaria la Signora Filomena Fabbri.
Alla fine del secolo del vecchio quartiere non rimase più nulla; ma quel che è più grave, al suo posto l’amministrazione pubblica non riuscì a realizzare alcunché. Restò, a detta di molti in quei giorni, un viale anonimo e ostile, ad occupare un vuoto edilizio che divenne il simbolo del profondo vuoto politico e culturale di allora.
Oggi, se tutto questo non fosse mai accaduto, probabilmente avremmo potuto godere di un borgo di stile medioevale, adeguatamente ristrutturato e forse pullulante di locali pubblici, ad incrementare la “movida” serale, come è avvenuto in altre città; ma i Cesenati di oggi, non avendo ricordo di ciò che fu il Borgo Chiesanuova, possono solo provare ad immaginarlo, e percorrendo il lungo viale che ora ne ha preso il posto, entrare con la fantasia negli oscuri portici e tra i viottoli di questo luogo fascinoso e scomparso.
Tratto da:
A. DAL MUTO Cesena nell’800: Una passeggiata da Porta Romana a Porta Fiume, Provobis 2015
AA.VV., Borgo Chiesanuova: storia di uno sventramento, Cesena, Comune di Cesena, 1985
Immagini Fondo Casalboni – Biblioteca Malatestiana
È una storia davvero suggestiva e a dire poco affascinante quella della nostra amata CESENA
Non sono originario di Cesena, anche se abito qui da molti anni, e bello anche il viale che c’è ora, creare il quarto lato della piazza che sia una cosa bella e certa ma deve essere una struttura non invadente o peggio impattante. Il vecchio borgo era già allora a rischio di essere sommerso dal fango degli smottamenti del colle garampo, rivalutare quel quartiere sarebbe stato assai oneroso anche oggi.
Veramente meravigliosi questi racconti ????della mia amata cesena che non cambierei con altre città ……❤️
Grazie, grazie da una cesenate che vive altrove ma che la ama profondamente!
Grazie mille per questi racconti affascinanti della mia meravigliosa città, piccola ma sempre affascinante e ineguagliabile, non la cambierei per nulla al mondo.❤️
GRAZIE PER TUTTE QUESTE INFOMAZIONI CHE ALTRIMENTI NON POTEVAMO NEMMENO CONOSCERLE ❗💪
che dire? Queste sono fantastiche storie reali del tempo che fu e se non ci fossero quelli che le ripropongono, saremmo completamente al buio, grazie