Buon giorno amiche e amici! Un altro giorno di resistenza! Oggi percorriamo insieme, virtualmente, le mura della nostra città, sperando di farlo presto nella realtà!
L’imponente Rocca, definita “falcon di Romagna” per la sua posizione sopraelevata in grado di controllare la pianura e le mura “a forma di scorpione” sono un patrimonio di grande valore storico e architettonico, le fortificazioni più estese di tutta la Romagna ed elemento fondamentale dell’identità della nostra città.
L’edificazione della Rocca Nuova più verso la pianura rispetto alla Vecchia e delle nuove mura di Cesena in sostituzione di quelle medievali, non più idonee ad affrontare l’urto delle artiglierie, fu un’opera di enormi proporzioni, avviata in epoca malatestiana e protrattasi per secoli.
Il modo di combattere stava rapidamente mutando a seguito della scoperta delle nuove armi da fuoco e occorreva, perciò, trasformare le mura medievali, alte e relativamente strette, in fortificazioni più larghe e in grado di assorbire i proiettili delle artiglierie nemiche e contenere batterie di cannoni che colpissero eventuali assalitori.
Architetti importanti si succedettero per decenni nell’imponente opera e tra essi Matteo Nuti, a cui è intitolato il bastione che s’affaccia su piazza del Popolo e Leonardo da Vinci, chiamato da Cesare Borgia che considerava Cesena la capitale del suo principato.
Leonardo disegnò il rilievo completo delle mura, percorrendo passo dopo passo l’intero perimetro e annotando complesse misurazioni di cui colpisce l’estrema precisione e diede consigli su come migliorare le difese, ad esempio nel lato della Rocca verso le colline, il più esposto al fuoco di artiglierie nemiche, che in effetti venne rafforzato.
Oltre che malatestiane, le fortificazioni di Cesena potrebbero a buona ragione essere chiamate leonardesche, per ricordare la straordinaria attività di quel genio nella nostra città.
Svanito il tentativo di Cesare Borgia e tornata Cesena sotto il diretto governo pontificio, venne elaborato un progetto di ampliamento, non completato, su progetto di due notevoli figure di poliedrici architetti: l’urbinate Girolamo Genga e il cesenate Francesco Arcano.
Genga fu anche estroverso pittore e, per la chiesa di sant’Agostino, dipinse, tra il 1513 e il 1520, una grande tela con la Disputa sulla Immacolata Concezione (oggi alla Pinacoteca di Brera) e una aerodinamica Annunciazione che si trova nel Museo della Cattedrale.
Per il volto di Dio, Genga utilizzò come modello proprio quello di Francesco Arcano che fu anche un eccezionale esperto di polvere da sparo ed armi da fuoco e per questo, intorno al 1520, venne chiamato alla corte londinese di Enrico VIII.
Lo sviluppo delle mura nei secoli XIII°-XVI° è ben evidenziato nella cartina disegnata da Antonio Dal Muto.
Nonostante le demolizioni seguite alle esigenze di mobilità degli ultimi due secoli, degli originari 3.775 metri di lunghezza ne restano quasi 3.000 e la maggior parte delle mura è ancora visibile.
Un bene che, tuttavia, ha bisogno di interventi di recupero e valorizzazione per renderlo più fruibile e salvare alcune parti in degrado.
Numerosi sono i tratti sbrecciati, come quelli sui viali Carducci e Finali.
Meritevole di un restauro è anche Porta Fiume costruita nelle forme attuali nel 1491 in sostituzione di una precedente struttura fortificata che permetteva l’accesso in città dopo aver superato il Ponte di San Martino che anticamente scavalcava il fiume Savio.
Quando, in seguito ad una frana, nel 1393, il corso del Savio si spostò nell’attuale posizione, l’alveo fu occupato dal Canale dei Mulini.
Di grande suggestione è la Porta Montanara a cui Renato Serra arrivava un passo dopo l’altro su per la rampata di ciottoli vecchi e lisci con un muro alla fine e una porta aperta sul cielo e di là dal mondo (dall’ Esame di coscienza di un letterato).
Recentemente sono stati realizzati lavori di rifacimento e manutenzione della Portaccia di Sant’Agostino, un complesso meccanismo di difesa dai nemici esterni e dall’impeto del torrente Cesuola che in quel punto entra in città.
Nella sua lunga storia l’edificio ebbe varie destinazioni d’uso, fu opificio, fabbrica di ceramiche e abitazione-laboratorio del pittore Mario Morigi che la definiva la sua Porziuncola.
Possiamo vedere gli artisti Mario Morigi e Giannetto Malmerendi che contemplano un vaso di ceramica, all’interno di quel singolare ambiente, in una tela dello stesso Malmerendi ora in una sala del Municipio.