Buona domenica, care amiche e cari amici che leggete questa Rubrica su Cesena! Oggi torniamo alla Cesena violenta di un tempo (aspetti del passato da non rimpiangere):
Avrei potuto intitolare questo mio scritto “Far West a Cesena” perché scorrendo le cronache del tempo ci si imbatte in una serie impressionante di sparatorie avvenute nella nostra città nello stesso periodo in cui avvenivano, nell’America del Nord, i cruenti duelli alla pistola che abbiamo visto in tanti film western.
Il massacro avvenuto in un saloon di Newton (Kansas) è del 1871 e la famosa sfida all’OK Corral si verificò a Tombsone (Arizona) nel 1881. Rispetto al lontano West le sparatorie cesenati avvenivano nelle strade di una città dalla storia millenaria e spesso avevano più pronunciate implicazioni politiche.
Ci possono aiutare a capire il clima dell’ordine pubblico nella nostra città vicende che è utile far uscire dalla grande zona d’ombra della storia dimenticata ed anche alcuni ex voto della Basilica del Monte che, insieme a qualche vecchia foto, ci riportano tra le strade e le piazze della nostra città nell’Ottocento.
Guida preziosa sarà Sigfrido Sozzi, primo sindaco di Cesena dopo la Liberazione e appassionato studioso di storia cesenate con le sue opere “Democratici e Liberali a Cesena (1863-1866)” (Santa Sofia, Tipografia Lotti, 1965) e “L’Internazionale a Cesena” (Faenza, Fratelli Lega Edit., 1977).
Siamo nel 1866, nel pieno di quel decennio che, tra alterne vicende politiche e militari, vede l’unificazione dell’Italia sotto la monarchia dei Savoia. La vita politica vede la contrapposizione tra un partito monarchico conservatore e il movimento repubblicano, diviso in bande talora rivali, dominato dalla figura di Eugenio Valzania.
Cesena è ancora sostanzialmente racchiusa entro le mura “a scorpione” circondate da un fossato, attraversata dal torrente Cesuola (la Giula) e con alcuni quartieri di infimo ordine come la Valdoca e il Borgo di Chiesanuova (tra la Chiesa di San Domenico, la Rocca e l’attuale Piazza del Popolo).
Accanto alle più importanti porte si sono formati nel tempo agglomerati popolari come il Borghetto fuori Porta Fiume e, dall’altra parte, fuori Porta Romana o fuori Porta Trova. Le forti tensioni politiche sfociano spesso in delitti.
Il questo quadro si collocano le vicende drammatiche di Ferrante Grilli, detto il “Gobbo Bellirosi”, della signora Dellamore e di Luigi Valducci, detto “Biagione”. Il Grilli era un abile vasaio di Porta Trova, molto influente tra gli operai di quel quartiere popolare tant’è che era stato nominato capo di una delle sezioni della Società Democratica. Venne ucciso il 17 gennaio, a colpi di arma da fuoco, nel suo quartiere. Grilli era stato collaboratore di Eugenio Valzania, poi si era avvicinato alla fazione di Saladino Saladini. Pare non fosse uno “stico di santo” e avesse sulla coscienza alcuni delitti. Anche suo figlio Antonio, alcuni mesi prima, per contrasti politici, aveva ammazzato un ragazzo di 17 anni di tendenze moderate: Giacomo Poggi. Nell’orazione funebre tenuta al Cimitero, il prof. Filopanti affermò che “l’omicidio politico è purtroppo la lurida e vergognosa piaga della nostra Romagna”.
Dagli atti del Tribunale di Forlì risulta che qualche giorno prima di morire il Grilli, parlando con un conoscente, avesse rivelato che “qui a Cesena vi è una società organizzata in modo che, allorquando si vuole uccidere un qualcheduno, si estrae a sorte il nome del socio che deve ucciderlo e questo eseguisce”.
Sigfrido Sozzi ne ricava che “per quanto fantastico possa apparire, non è da escludere che si usasse un simile procedimento, perché altrimenti non si potrebbe spiegare il numero elevato di mancati omicidi, i quali sembrano compiuti da persone non ben preparate alla bisogna”.
Dilettanti tragicamente mandati allo sbaraglio.
A conferma, pochi giorni dopo l’uccisione del Grilli, nel Borgo di Chiesanuova, avviene il mancato omicidio di un tale Cesare Dellamore che apparteneva alla squadra dell’esponente politico Giuseppe Comandini.
Sozzi commenta: “L’assassino sbaglia il colpo e uccide la moglie di quel disgraziato. Per la comprensione dell’impressionabilità a senso unico dei romagnoli va precisato che la morte della povera moglie del Dellamore non causò commozione né diede luogo a funerali solenni o a discorsi al cimitero o altrove”. Insomma, per i Cesenati di allora l’assassinio di una donna valeva molto meno di quello di un uomo. C’è da aggiungere che questi omicidi rimasero impuniti, come spesso succedeva perché in genere “le indagini terminavano con una malinconica denuncia contro ignoti”.
La serie di delitti viene contrastata, se non fatta cessare, dalla famiglia di un piccolo industriale di Porta Fiume, Luigi Valducci, detto “Biagione” che gestisce un mulino di olive e che è indicato come colui che ha ospitato e aiutato l’omicida di Grilli, non sappiamo con quanta verità. Per questo si è fatto nemici che ne hanno deciso la morte. Il Valducci è stato avvertito del pericolo ma sabato 24 febbraio, giorno di mercato, non può evitare di andare in Piazza Maggiore.
Dal Borghetto dove abita deve per forza attraversare il Ponte di San Martino ed è lì che lo aspetta il suo assassino che spara ma fallisce il bersaglio. Biagione estrae la sua arma mentre l’altro fugge verso il Borghetto, pur correndo riesce ad estrarre un’altra pistola e (pare proprio davanti alla casa del Valducci) si volta e spara ancora. Anche Valducci spara ma entrambi i colpi vanno a vuoto, però Biagione ha il volto bruciacchiato dalla vampata di zolfo della sua rivoltella. A questo punto entra in scena la coraggiosa ed energica moglie di Biagione che, impadronitasi della pistola del marito, insegue il mancato assassino che scappa verso il Ponte Vecchio dove si sbarazza della pistola, della capparella e delle scarpe e percorre velocemente la via dei Maceri dileguandosi sulle colline.
Il settimanale repubblicano “Il Democratico”, commendando il fatto, riporta l’arguto commento di un giovane toscano quel giorno presente a Cesena: “Qui si tira agli uomini come si farebbe ai beccaccini”. Le indagini non portano a nulla, i numerosi testimoni (ad esempio le ortolane che esponevano i loro prodotti sul Ponte di San Martino) non parlano. Da allora Biagione uscirà di casa scortato dal figlio Ferdinando “un gigante, buono, mansueto, ma poderoso e fiero che incute rispetto al solo guardarlo”. La vicenda avrà ancora uno strascico in una ulteriore sparatoria tra Biagione e colui che ritiene il mandante del suo mancato omicidio, fortunatamente senza morti.
Ma quello che più importa è che la vicenda del padre e la pratica dell’azione politica come lotta armata tra bande contrapposte sarà probabilmente alla base di un diverso impegno dei figli del Valducci, Giacomo e Ferdinando che contribuiranno a fondare, qualche anno dopo, “in Porta Fiume il primo nucleo dell’Associazione Internazionale dei lavoratori, chiamando a farvi parte gli operai del Borghetto e i contadini” che portavano al mulino del padre le olive da macinare.
Sigfrido Sozzi attribuisce proprio a Ferdinando la paternità dell’articolo del “Cuneo” del 29 gennaio 1910 (firmato “un primo internazionalista”) che rievoca la fondazione dell’Internazionale a Cesena, “in un giorno imprecisato dell’estate” dell’anno 1876 ad opera di una ventina di socialisti cesenati che lasciano l’Associazione Repubblicana e rispondono all’appello lanciato da Andrea Costa.
“Il sole parve salutare i bersaglieri dell’avvenire” scriveva con slancio poetico Ferdinando Valducci.
Le strade cesenati vedranno altro sangue versato per contrasti politici, altri feriti e altri morti (basti pensare all’omicidio di Pio Battistini la sera del 7 settembre 1891, nell’attuale via Zeffirino Re) ma un’altra idea della politica (meno violenta e settaria) cominciava, lentamente, ad affermarsi.