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Decio Raggi, la prima medaglia d’oro nella Grande Guerra

Care amiche e cari amici, buona domenica! L’invito di un lettore e la ricorrenza odierna (105° anniversario) mi portano a scrivere di un personaggio non cesenate ma la cui vicenda presenta vari agganci con la nostra città: 

 

Nell’ultima pagina del suo “Diario personale“ (pubblicato postumo con il titolo “Diario di trincea“) scritta la sera del 19 luglio 1915 (giusto 105 anni fa) Renato Serra annotava i fatti salienti di una giornata di intensa e sanguinosa battaglia sulle pendici del monte Podgora (a cui verrà dato significativamente il nome di “Calvario“).

Il controllo di quel monte era fondamentale per la conquista di Gorizia e su quelle pendici morirono migliaia di Italiani e Austriaci.

Scriveva Serra, forse con la speranza (vana) di sviluppare in seguito quelle note: “Alle 9 riprende il bombardamento. Notizie dal Carso. Disposizioni: i 2 plotoni della guardia, pronti per un bisogno. I primi feriti. Raggi. Notizie dai soldati. Sotto la tettoia del Comando. Raffica di shrapnels che sfiorano il campo…- altri feriti (E i morti)”. “Raggi” sta per Decio Raggi che, tenente dello stesso XI° Reggimento in cui militava Serra, quel giorno aveva subito una terribile e mortale ferita.

Nato il 29 settembre 1884 a Savignano di Rigo, frazione di Sogliano al Rubicone, da ricca famiglia di origine ligure, Raggi si era diplomato al Liceo di Pesaro poi, conseguita la laurea in Legge all’Università di Bologna, si era dedicato all’impegno politico (consigliere comunale e assessore nel Comune di Sogliano e consigliere provinciale), unendo fede cattolica e passione patriottica, probabilmente ereditata dal padre Enrico che, nel 1860, durante i moti risorgimentali, aveva militato nei “Cacciatori del Montefeltro” alla presa di San Leo.

Un ideale patriottico che lo portò ad aderire con entusiasmo alla guerra contro l’Impero Austro-Ungarico per dare compimento all’Unità d’Italia.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale era stato assegnato, con il grado di tenente, all’XI° Reggimento Fanteria della Brigata Casale, composto da Romagnoli della provincia di Forlì (chiamati “Gialli del Calvario” dal colore delle mostrine) e gli era stato dato il comando della IX° Compagnia (Serra aveva il comando della IV°).

Ma veniamo alla battaglia che gli valse la medaglia d’ora al valor militare, la prima assegnata ad un soldato italiano nella Grande Guerra. Verso mezzogiorno del 19 luglio 1915 Raggi, alla testa della sua Compagnia, sale le pendici del Podgora all’attacco delle trincee austriache (nella vecchia foto, immagini di un fortino austriaco sul Podgora) e, incurante del martellante fuoco nemico, incita i suoi soldati ad avanzare al grido di “Avanti Romagna!”.

Colpito una prima volta, continua nell’assalto ma, in prossimità della trincea nemica, una seconda pallottola attraversa il polmone e intacca la colonna vertebrale, paralizzando le gambe.

Raggi non cessa di incitare i suoi soldati poi, per non cadere in mano al nemico, si trascina per un tratto e si lascia rotolare per circa 60 metri fino alle linee italiane.

Racconta l’episodio Aldo Spallicci (politico, scrittore e appassionato studioso delle tradizioni popolari di Romagna) che era tenente medico nello stesso Reggimento: “Fra i primi fu ferito a morte Decio Raggi, mentre sul parapetto dell’opposta trincea, sventolando il berretto, incitava i suoi romagnoli a seguirlo, per le tradizioni sante della nostra terra di Romagna, per la vittoria d’Italia” (da “Con l’11° fanteria sul M. Calvario”).

Da notare quello sventolare il cappello che è certamente un gesto di valoroso coraggio ma ci conferma anche che, nel periodo iniziale del conflitto, i nostri soldati andavano all’attacco senza il riparo di un elmetto (e Serra, infatti, fu colpito mortalmente al capo il giorno dopo).

Una targa (nella foto) segnava un tempo il punto del ferimento mortale ma è andata perduta.

Raggi morì dopo alcuni giorni, il 24 luglio 1915, all’ospedale da campo di Cormons, assistito dal cappellano militare Don Baronio di Cesena.

Poco prima di morire, lasciava il suo testamento morale: “O gioventù italiana, invidiate la mia sorte fortunata!… Né le fatiche, né i pericoli, né la fame, né la sete, né le veglie, né i disagi hanno mai scosso la mia fede nelle nostre giuste aspirazioni nazionali, l’amore agli italiani oppressi, l’odio contro i vecchi e nuovi tiranni nostri oppressori…”.

Il 24 ottobre venne consegnata alla madre la medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione: “Nobilissimo esempio di mirabile eroismo, sotto il grandinare dei proiettili, superate le fortissime insidiose difese avversarie si slanciava, primo, sulla trincea nemica e, ritto su di essa, sfidando la morte pur di trascinare i suoi soldati all’audace conquista, li incitava e li incuorava invocando le tradizioni della forte Romagna e, colpito a morte, nel sacrificare la generosa vita alla Patria, li spronava ancora a compiere l’impresa valorosa, si chiamava beato della sua sorte ed inneggiava al glorioso avvenire dell’Italia.» — Podgora, 19 luglio 1915

In un primo tempo la salma venne collocata nel Cimitero di Cormons poi venne concesso il trasferimento a Savignano di Rigo nel cui Cimitero ora è conservata, in un singolare mausoleo fatto erigere dalla famiglia (davanti al Cimitero c’è ora un parco intitolato a Raggi in cui, vicino ad ogni albero, è scritto il nome di un soldato caduto).

L’ultimo viaggio dei suoi resti da Cormons a Cesena (il 1° agosto 1915), Savignano sul Rubicone, Sogliano e Savignano di Rigo fu un susseguirsi di onori militari e omaggio di civili all’eroe di Romagna.

Sul numero del 10-17 ottobre 1915, la “Domenica del Corriere” di Milano dedicò a Decio Raggi la prima pagina riportando un’illustrazione molto efficace di Achille Beltrame.

Negli anni successivi Raggi venne celebrato come modello nazionale di coraggio e amore per la patria, esempio per le giovani generazioni.

In numerose città gli venne intitolata una strada, una scuola, un edificio pubblico.

A Cesena è a lui intitolata la grande caserma di viale IV Novembre (primi decenni 1900), sulla sponda destra del fiume Savio, tra il Ponte Vecchio e il Ponte Nuovo.

Poi un sempre maggiore oblio ha avvolto la sua figura e la grande casa natale, che sarebbe potuta diventare un Museo dedicato a lui e ai numerosi Romagnoli caduti nella Grande Guerra, è in stato di totale degrado.

Il nostro paese ama esaltare eroi che presto dimentica.

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