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Una lapide, posta dal Comune sulla facciata di un’abitazione al numero 41 di via Uberti, ci ricorda che in quella casa dimorò e morì Gaetano Maldini, ravennate, che “soldato valoroso fu caro a Garibaldi e si meritò il titolo di paggio di Anita”.

Una vicenda davvero singolare che lo spazio limitato di questi capitoli mi costringe a sintetizzare.

Gaetano aveva quindici anni quando Garibaldi arrivò a Ravenna, il 18 novembre 1848, con l’intenzione di raccogliere volontari per raggiungere Roma in pieno fermento rivoluzionario e qui costituì la “prima legione italiana”, in gran parte formata da romagnoli, che indossarono come divisa la camicia rossa, secondo la testimonianza dello stesso Maldini.

Gaetano fece di tutto per farsi arruolare, alla fine trovando uno stratagemma per parlare direttamente con Garibaldi e convincerlo ad accettarlo, nonostante la giovane età.

Doveva avere modi che ispiravano simpatia e fiducia visto che Garibaldi lo volle al suo personale servizio e, quando venne raggiunto da Anita, qualche mese dopo, Gaetano passò al servizio di lei.

Anche Gaetano partecipò, tra l’aprile e il luglio 1849 alla difesa della Repubblica Romana, combattendo eroicamente con la carabina “a fulminante continuo” donatagli dal Generale. Ferito e ricoverato in ospedale, ebbe la gratificazione di essere visitato ed elogiato dal suo Generale. Il coraggio e il valore dimostrati in battaglia gli procurarono la promozione ad ufficiale, del tutto eccezionale per la sua giovanissima età. Gaetano fu tra quelli che seguirono il Generale anche quando, oramai persa Roma, partirono per raggiungere Venezia che ancora resisteva.

In un bel quadro del pittore imolese Quinto Cenni, firmato e datato 1907, vediamo l’esercito di Garibaldi mentre attraversa l’Appennino, in testa al gruppo Giuseppe e Anita e, subito dietro, Gaetano “paggio d’Anita di anni 13” (in verità ne aveva 16) che si distingue tra quegli uomini dalle lunghe barbe e porta uno strano cappello “alla calabrese”.

Il quadro divenne tanto famoso che, nel 1949, la Repubblica di San Marino utilizzò proprio quell’immagine nei francobolli realizzati per celebrare il centenario del passaggio di Garibaldi, limitandosi a cambiare lo sfondo con le tre punte del Monte Titano.

In realtà, certo con suo grande rammarico, di quella colonna Gaetano Maldini fece parte solo per poco tempo e non arrivò a San Marino, costretto a fermarsi prima per un gravissimo attacco febbrile che probabilmente gli salvò la vita, visto l’esito infausto di quella spedizione o, quanto meno, gli evitò lo strazio di assistere alla morte di Anita. Terminò qui l’avventura garibaldina del Maldini, non la sua partecipazione alle battaglie del Risorgimento.

Dieci anni dopo, nel 1859, partecipò alla vittoriosa battaglia di Solferino e San Martino.

Non abbiamo notizia di altre imprese belliche di Maldini che, in seguito, si dedicò all’agricoltura e offrì il suo contributo di esperienza al Consorzio di Bonifica Cervia-Cesenatico, come attesta una lettera inviatagli, nel 1908, dal Senatore Saladino Saladini che elogiava il contributo “a pro del pubblico interesse” e definiva Maldini “cittadino operoso per la patria e la civiltà”.

Interessante è la biografia Il paggio di Anita (Gaetané) pubblicata nel 1932 da Emilio Biondi che racconta di averlo conosciuto personalmente e di aver frequentato la sua modesta casa “in contrada Uberti” in cui “si constatava come egli conservasse le tradizioni della buona ospitalità romagnola ed era possibile vedere sopra il letto una grande immagine di Garibaldi e più sotto, in un piccolo quadro, l’ultima lettera che lo stesso gl’indirizzò da Caprera, col suo ritratto”.

Una foto ci mostra un distinto signore un po’ in là con gli anni ma ancora solido e deciso. E’ ritratto in piedi, avvolto da un dignitoso cappotto, con cappello, sciarpa, pantaloni scuri e nella mano destra un bastone, la testa leggermente piegata verso sinistra, l’espressione pacata e al tempo stesso energica e le labbra incurvate in un accenno di sorriso.

Il Biondi non ci dice quando nè per quali motivi Gaetano si era trasferito a Cesena nè ci parla della sua famiglia, a parte un accenno fugace alla moglie forse già morta.

Traccia, tuttavia, un incisivo ritratto del Maldini negli ultimi anni: “Chi nei giorni invernali, alcuni anni or sono, verso le due pomeridiane, entrava nel caffè Forti a Cesena, era certo di trovarvi seduto in un angolo della prima sala un vecchietto ancora arzillo, con un berrettino di panno chiaro in capo, coi calzoni a quadretti, all’antica, la giacchetta larga col saccolo alla romagnola, un fazzoletto di seta intorno al collo ed un mantello ampio, nero, dal largo bavero alzato a giusa di cospiratore”.

A me desta molta simpatia quel “vecchietto ancora arzillo” (doveva avere oltre ottant’anni), povero ma dignitoso che agli avventori del caffè parlava di Garibaldi ormai morto da tempo e ritornava alle battaglie combattute insieme, ricordava la carabina che gli aveva donato e la visita fattagli quando era ferito a Roma… e le cavalcate seguendo Anita e la volta in cui l’aveva difesa con una sciabolata da un uomo arrogante che l’importunava… squarci di una vita d’eccezione prima che tutti venissero travolti dalla tragica fine della Repubblica Romana.

Otre ai ricordi, chissà quali pensieri avranno affollato la mente di Gaetano, chissà se l’Italia in cui si trovava a vivere era quella che aveva sognato e per cui aveva combattuto ?! Maldini morì di bronchite, il 23 dicembre 1922, quasi in miseria, tant’è che alla tomba provvide la domestica. Cinquant’anni dopo i suoi resti sono stati traslati in un anonimo tombino del Comune di Cesena.

Solo la lapide di via Uberti testimonia la presenza a Cesena del “paggio di Anita” il cui ricordo, scriveva Emilio Biondi, è “degno di essere tramandato alla riconoscenza degl’italiani”.

E, ancor più, la memoria di quest’uomo coraggioso e generoso che affrontò stenti e pericoli per l’ideale di un’Italia unita e libera e si prodigò per il pubblico progresso, dovrebbe essere cara ai Cesenati, suoi concittadini d’elezione.

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