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Quanti Cesenati sanno che nella nostra città Giacomo Casanova (nella foto ritratto dal pittore Alessandro Longhi) visse, nell’agosto 1749, appena ventiquattrenne (era nato a Venezia il 2 aprile 1725), due esperienze di magia e amore per lui tanto importanti da dedicare loro numerose pagine nella sua biografia scritta molti anni dopo, quando, oramai al termine di una vita straordinaria, svolgeva la funzione di bibliotecario nel castello di Dux, in Boemia?

Eppure i due scenari di quelle avventure ancora esistono.

Il primo è una grande casa colonica fino a poco tempo fa in totale abbandono (nella foto come appariva nell’800), in mezzo a campi un tempo coltivati a canapa (“maceri” è ancora il nome di quella zona) che, procedendo dalla rotonda del Ponte Vecchio verso Roversano, si può vedere, sulla sinistra, dopo il parcheggio di un supermercato. Ora la casa è stata restaurata, ad opera di privati. Quell’edificio, apparentemente anonimo, ospitò, nell’agosto del 1749, per alcuni giorni Casanova e fu teatro di una sua singolare avventura.

Giacomo, non ancora divenuto famoso in Europa grazie all’eccezionale fuga dal terribile carcere veneziano dei “Piombi” (1755), era stato invitato in quella casa per recuperare un tesoro che si credeva nascosto nelle fondamenta.

Avrebbe dovuto operare il prodigio grazie alle sue arti magiche ed allo straordinario potere determinato da due oggetti straordinari: il supposto coltello con cui San Pietro aveva tagliato l’orecchio di Molco, al momento della cattura di Gesù da parte dei soldati condotti da Giuda ed il fodero del coltello stesso.

Qui la storia sarebbe più complessa ma lo spazio consente solo una breve sintesi.

In realtà Casanova era attirato da altre motivazioni: il piacere di sfidare la sorte con le sue doti di astuzia e seduzione, il gusto di ingannare gli stolti e la necessità di allontanarsi da Venezia in cui aveva combinato alcuni grossi guai. A queste motivazioni se ne aggiunse un’altra: la presenza di Genoveffa, la giovane e attraente figlia del padrone di casa che Giacomo chiese immediatamente divenisse sua assistente, in quanto ancora illibata, per condurre pratiche di purificazione corporale indispensabili per il buon esito dell’incantesimo.

Arrivata la notte destinata al recupero del tesoro, tuttavia, qualcosa andò storto oppure Giacomo trovò un pretesto per uscire da una situazione imbarazzante.

Nelle sue memorie racconta che, proprio nel momento in cui aveva iniziato le pratiche magiche, dovette desistere a causa di un temporale tanto terribile da sembrare provocato da forze diaboliche che, evidentemente, non gradivano la sua impresa.

Il sortilegio, dunque, non riuscì e la seduzione di Genoveffa rimase a metà (qualche pratica non ben specificata era, comunque, stata compiuta) ma la sorte gli aveva riservato un’altra sorpresa.

Tornato all’Albergo della Posta, poi Leon d’Oro (vedi foto primi ‘900), nell’attuale piazza del Popolo, incontrò in circostanze rocambolesche uno dei suoi pochi, veri amori.

Si trattava di Henriette, una giovane francese che viaggiava, vestita da uomo per non essere riconosciuta, in provvisoria compagnia di un ufficiale ungherese più anziano di lei ma ancora prestante. Un’avventuriera, una specie di “alter ego” femminile di Giacomo che non poteva non esserne subito affascinato. L’ufficiale ed Henriette erano stati scoperti dalla polizia papalina che, su segnalazione dell’oste (un tempo molti osti erano informatori della polizia), aveva fatto irruzione nella loro camera, trovandoli a letto, con grande scandalo.

Ne era seguito un tale strepito che aveva attirato la curiosità di Casanova che alloggiava nella stanza vicina e che, visto il viso grazioso che faceva capolino da sotto le lenzuola, si offrì subito di aiutare i due malcapitati.

Grazie alla benevolenza del suo amico conte Spada (proprietario del teatro che sorgeva dove poi sarà costruito il “Bonci”), riuscì a non farli imprigionare, anzi a farli risarcire per l’affronto, purchè lasciassero immediatamente la città. L’ufficiale, da vero uomo di mondo, si fece da parte lasciando Giacomo ed Henriette liberi di vivere alcuni mesi felici a Parma, fino al forzato ritorno di lei in Francia.

Henriette si rivelò non solo assai graziosa e spregiudicata ma dotata di intelligenza e sensibilità e Casanova la ricordò sempre con affetto.

Cesena è stata, dunque, teatro di due avventure, così diverse ed entrambe così singolari, di un tale personaggio dalla fama universale.

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