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Gino Barbieri, l’uomo e l’artista – parte 2°

Buona domenica, care amiche e cari amici che leggete questa Rubrica su Cesena! Riprendiamo la narrazione della vita e dell‘arte di uno dei più notevoli (e per me affascinanti) artisti della nostra città:

 

Alla fine della prima parte (domenica scorsa) abbiamo lasciato Barbieri all’inizio della sua esperienza militare, tra l’agosto e il settembre del 1915.

Barbieri è interventista e mostra l’orgoglio della divisa, come vediamo in una xilografia con levriero conservata a Casa Serra. Con il grado di sottotenente viene assegnato a servizi di seconda linea a Malamocco che Gino definisce (in modo istrionico) “Mammalucco”: “A Mammalucco si vive molto male. Non c’è la mensa degli ufficiali perché sono tutti disgregati ed ognuno deve pensare per suo conto sicché dato il mio carattere poco organizzatore mi trovo a volte che non so che cosa mangiare dovendo fare gli acquisti ad una data ora oppure mandare l’ attendente a Venezia per farli in tempo. …Sono andato avanti per due o tre giorni di seguito con caffè latte e uova e marsala. … In compenso c’è molta libertà e parecchie distrazioni.“

Con un’ingenuità fanciullesca, infatti, si diverte a osservare le esercitazioni navali che rappresenta anche in xilografie:“ Le navi tutti i giorni sparano cannonate … Io mi diverto un mondo ad assistere a questi tiri che spesso sono meravigliosi per precisione. Ho visitato due o tre di queste navi moderne, ho visto dei porti e mi sono informato specialmente dei cannoni.“ (da una lettera al suo „maestro“ Adolfo De Carolis)

Nel marzo 1917 inizia a frequentare D’Annunzio, restandone ammirato, come scrive all’amico Ugo Magnani informandolo “della interessantissima intimità del grande poeta che è stato così cordiale con me”. Nella stessa lettera, con un volo della fervida fantasia, immagina di tornare a Cesena mascherato da pierrot per rimproverare ai suoi concittadini di aver dimenticato le persone di valore cadute in guerra: “Pensavo: se in una delle feste future che torneranno dopo i dolori e gli strazi di questa guerra, mascherato precipitassi rumorosamente fra la gente di Cesena raccolta per distrarsi e per godere, e con mille moine e con parole strane… riuscissi ad attrarre l’attenzione di tutti!!! Narrerei la mia istoria di pierrot ridendo del mio dolore e dell’ aspetto melenso di quella gente istupidita. “Ah, ah! Non ricordate nulla – direi – del povero emigrato!! Quando sono partito vi ho salutati ad uno ad uno col cuore… Ed ho saputo mantenermi così vicino quando proprio per voi non esistevo più. Ed ho faticato tanto per diventare qualcuno che affermasse il valore della nostra terra, ed ho pianto quando ho appreso la morte di un confratello di valore figlio della mia stessa terra.”  Il “confratello di valore figlio della stessa terra” è Renato Serra, morto quasi due anni prima.

Dalla frequentazione con D’Annunzio nasce lo straordinario ritratto a sanguigna su carta della Pinacoteca di Cesena da cui deriva la xilografia trovata nella sua cassetta dopo la morte(ora a Casa Serra), che, pur su uno sfondo “eroico” di nudi e geni alati, mostra un D’Annunzio intensamente riflessivo, un ritratto molto apprezzato tanto da essere riprodotto sul francobollo commemorativo per il centenario della nascita del poeta.

Promosso al grado di tenente, viene assegnato, su richiesta di D’Annunzio, al suo stesso Reggimento, il 77° Fanteria della Brigata Toscana (i cosiddetti “Lupi di Toscana” per il valore dimostrato in combattimento), che si trova in prima linea.

Barbieri rimarrà in prima linea fino alla morte, a parte una breve licenza a Firenze per rivedere i genitori anziani e malati (il padre è cieco).

Interessante questo brano di lettera a Magnani in cui rivela le proprie inquietudini e mostra la generosità del suo animo: Io acquieto la mia anima, ancora disperata per non aver raggiunto uno scopo ben definito, nei famigliari colloqui coi miei poveri soldati, lottando dolcemente con la loro ignoranza e coi loro pregiudizi e accordando loro tutti quei piccoli benefici che mi sono possibili e anche quelli che non potrei e che mi implicano, concedendoli, un qualche pregiudizio della mia responsabilità … Ci accorgiamo che da un momento all’altro potremmo dover dare molto di più, e magari tutto quello che abbiamo di più sacro… Me la passo alternando le cure del mio servizio con quelle della mia professione.“

Assistiamo, dunque, all’evolversi dell’atteggiamento di Barbieri di fronte alla guerra, in un percorso simile a quello di Serra. Dapprima l’entusiasmo dell‘interventista che si dice pronto alla sfida bellica e determinato a combattere con onore e coraggio (all’amico Magnani:“Ormai siamo in ballo e bisogna ballare e se Dio vuole speriamo di dare una buona lezione. Io andrò presto sottotenente…Viva l’Italia!..”e ancora,: “Attendo serenamente il mio turno e non sarò uno dei meno forti…”).

Progressivamente, tuttavia, nelle lettere e nelle xilografie la rappresentazione della vita militare e della condizione dei soldati cambia notevolmente passando dall’esaltazione entusiastica al senso di desolazione e tragedia.

A De Carolis scrive: “Non parliamo poi del dormire e del puzzo di cadavere che appesta l’aria…Bisogna dormire dentro caverne scavate nella pietra, il più delle volte umide e sporche, sopra delle tavole…., senza spogliarsi mai, con pochissime comodità per lavarsi” respirando aria puzzolente, con un caldo che opprime…

Lo sorregge la forza di volontà ma si sente debole e parla della “vita del topo” a cui è costretto nei “camminamenti così angusti”, del “senso di soffocamento che … procura una stanchezza e una depressione fisica incredibile”.

Non vuole abbattersi, teme solo che il fisico non lo sorregga ma aggiunge che la guerra pensata è molto differente da quella reale…un concetto espresso anche da Serra in una pagina del suo Diario di trincea.

Anche alla madre scrive la penosa situazione in cui si trova: “Questa specie di sgabuzzino sporco sul quale i topi tambureggiano correndo mi dà dunque l’idea di un carcere… In certi momenti mi prende una oppressione strana. Mi pare …c ome se fossi murato in fondo ad una galleria profondisssima. Si respira così male qui dentro!”

Le sue opere diventano uno straordinario e terribile reportage sulle tragicità della guerra così come, due anni prima, era stato il Diario di trincea di Serra.

Per entrambi la partecipazione alla guerra diventa esperienza di maturazione umana ed occasione di evoluzione artistica.

Barbieri passa dall’eleganza delle xilografie policrome alla sobria ma forte espressività con cui raffigura i suoi compagni di trincea („Messa al campo“, „Lo spidocchiamento“, „IL soccorso“, „Sopravvissuto“.

E’ con legni e inchiostro raccattati fortunosamente che Gino realizza le sue incisioni, tra cui una delle più efficaci è quella denominata I ritornanti o anche Fanti o Occhi, conservata a Casa Serra in cui sono raffigurati i volti di tre soldati che si appoggiano l’uno all’altro quasi per sostenersi a vicenda e condividere la pena ma ciascuno rimane chiuso nel suo dolore. L’intensità degli occhi e l’espressione dei volti sono più efficaci di tante parole per dirci la tragedia della guerra. Michele Campana ci ha lasciato testimonianza delle parole dell’amico Gino prima dell’ultima battaglia: “Se avrò vita non dipingerò che gli occhi! Li hai osservati gli occhi di coloro che tornano dalle battaglie? Di coloro che videro così da vicino la morte? C’è tutto un poema di dolore: io vedo dentro essi le anime: perchè soltanto le anime sorvivono a questa tragedia che strazia le carni: solo le anime sono la nostra potenza…”

Parole che rivelano una sensibilità fuori del comune e una capacità introspettiva che, unita all’abilità tecnica sempre più affinata dall’intenso lavoro di intaglio, avrebbero confermato Barbieri come uno dei maggiori artisti del ‘900 italiano ed europeo se una pallottola nemica non ne avesse interrotto troppo presto la vita e l’arte.

Avviene nelle primissime ore del 17 novembre 1917, quando, ancora a notte fonda, infuria la battaglia sul Monte Zomo, nell’Altopiano di Asiago.

Pochi giorni prima era stato promosso al grado di capitano.

Si era nei giorni immediatamente seguenti la rotta di Caporetto e se gli Austriaci avessero sfondato quel fronte sull’Altipiano avrebbero avuta spalancata la strada per la pianura padana e, probabilmente, le sorti della guerra sarebbero state diverse.

In questa fase si inquadra la battaglia del Monte Zomo in cui persero la vita centinaia di Italiani e Austriaci, una vera e propria carneficina.

Ma per comprendere gli avvenimenti di quella notte, nulla è più efficace della testimonianza diretta di Campana (lettera a Ferruccio Pasqui riportata sul Popolano (Periodico Repubblicano Quindicinale di Cesena): “Povero Gino! Amico generoso! Io non ho ancora avuto il coraggio di scrivere ai suoi. Mi si spezza il cuore al pensiero che il destino mi ha obbligato a far da becchino a quel giovine che m’era stato fratello nel tempo delle più pacifiche lotte artistiche… Io, Gino, il mio attendente ed altri tre o quattro soldati spariamo in piedi, completamente scoperti, con una calma da tiro a segno. Mano a mano che gli Austriaci salivano, con una furia indiavolata (forse erano ubriachi) li stendiamo a pochi passi da noi. Formiamo quasi una trincea di morti. Gino gridava con la sua voce tenorile: “Avanti vigliacchi se avete cuore!” Intanto la mia compagnia si distendeva e prendeva gli Austriaci tra un fuoco così micidiale che ne falciava delle vere ondate… la mattina dopo abbiamo dovuto seppellire centinaia di morti. La mischia impari durò dalle 19 del 16 alle 2 del 17. Verso la mezzanotte Gino era sempre accanto a me. Il lungo sparare fucilate ci bruciava le mani… Quattro assalti furibondi sferrarono i nemici. E tutti s’infransero contro il valore della nostra Brigata. …Gino ed io ci cacciammo colle baionette nel più folto della mischia. Gli austriaci si lasciavano sgozzare ma non cedevano di un palmo. Verso l’una del 17, quando già mettevamo piede nella trincea riconquistata, Gino si abbattè al suolo fulminato da una pallottola. Non disse parola, non diede un sussulto.

Mancavano pochi giorni al suo 32° compleanno.

Il corpo venne recuperato dallo stesso Campana la notte successiva e collocato in un cimitero improvvisato ma quella provvisoria sepoltura si trovava in una zona oggetto di intensi bombardamenti per cui venne distrutta e i resti mortali di Barbieri andarono dispersi.

Nel 1951 gli è stata dedicata una via alle spalle del Giardino Pubblico e, circa un anno fa, è stata collocato un ovale esplicativo sulla casa natale di viale Mazzoni. La produzione artistica di Barbieri è conservata in gran parte a Cesena, tra Collezioni Comunali ed ex Cassa di Risparmio anche grazie alla donazione al Comune, nel 1954, da parte della sorella Adelaide, di 143 pezzi tra tele, disegni, xilografie, matrici in zinco e legni, un patrimonio che oggi, purtroppo, solo in piccola parte è visibile in Pinacoteca e a Casa Serra.

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