Care amiche e cari amici, ben ritrovati e buona domenica! Concludiamo oggi il percorso di conoscenza di Renato Serra:
All’inizio della sua esperienza militare, il 16 maggio 1915, Serra viene coinvolto in un grave incidente d’auto nei pressi di Latisana e riporta una brutta ferita alla testa: una frattura alla base cranica con compromissione dell’equilibrio fisico e dell’udito all’orecchio destro.
I medici dell’ospedale gli offrono tre mesi di convalescenza ma lui replica che è sufficiente uno, desideroso di tornare presto al fronte.
Il 4 luglio si presenta alla visita di controllo presso la commissione medica di Ravenna che, nonostante la ferita non sia guarita, lo dichiara idoneo a tornare al fronte.
Accetta serenamente e, in una lettera a De Robertis, scrive: “Devo partir subito …Forse è meglio e io sono già contento … Oggi bisogna ch’io vada e tutto quello che non ho detto o fatto, che resti indietro!”
L’“indolenza invincibile” di cui parlerà, in un ricordo postumo, l’amico Luigi Ambrosini, l’“infantilità della sua vita che aveva sempre bisogno delle cure della mamma, mattina e sera” sembrano appartenere ad un tempo passato.
La guerra non è, per Serra, un evento militare (vedi l‘“Esame di coscienza di un letterato“) quanto un’esperienza esistenziale di maturazione umana, di crescita dell'”uomo nuovo” che sente di voler essere.
Parte la notte stessa del 4 luglio e il 6 si presenta al Comando nella zona del monte Podgora, postazione strategica per la conquista di Gorizia.
Gli viene assegnato il comando della 4° Compagnia dell’11° Reggimento Fanteria.
La sorte gli concede un’altra possibilità.
Il 6 luglio incontra il tenente medico Aldo Spallicci che, vedendo le sue condizioni (dall’orecchio destro gli esce pus), gli propone un ricovero in ospedale. Serra rifiuta, dice di sentirsi bene, non vuole lasciare il comando della sua compagnia.
In quello stesso giorno inizia a scrivere il Diario personale dal 6 luglio 1915 pubblicato da Luigi Ambrosini col titolo Diario di trincea con qualche mutilazione e, poi, in modo completo, con lo stesso titolo, da Cino Pedrelli.
Si tratta di un piccolo taccuino (di proprietà della famiglia) dalla copertina nera con fogli a quadretti che venne trovato nel suo zaino, insieme alla rivoltella da cui non era partito neppure un colpo.
E’ uno straordinario reportage sulla guerra di trincea, di cui viene narrato il dolore e lo squallore descritti con serena lucidità, con partecipazione e distacco al tempo stesso, con la coscienza della possibile morte affrontata con serenità.
6 luglio ore 14,40
nel bosco davanti Podgora: cuccie nel terreno sconvolto: dopo un sonno sotto i primi shrapnel….Ripenso all’arrivo: entrando nel campo incrocio la barella del cap. Del Gaudio: una forma sotto una coperta, una mano increspata fuori della coperta, magra, esangue, verde. Segno?
7 – Sto in piedi un po’ a stento, traballando. La ferita. Mi passa per la testa che potrei benissimo ammalarmi, tornare in licenza: per un secondo mi sono già accomodato. Ma so che non sarà per più di un secondo. Sorrido, come quando una granata scoppiandomi sulla testa me la fa abbassare…. Come si vede e si sente diversa la guerra, a esserci in mezzo. Si fa. Ma è oramai come la vita. E’ tutto, non è più una passione, né una speranza. E, come la vita, è piuttosto triste, rassegnata: ha un volto stanco, pieno di rughe e di usura, come noi…Scrivo, guardando i monti intorno e il cielo velato di vapori di calore che si stanca.….
13 – … colonna di uomini curvi rassegnati sui due lati della strada polverosa: panni rossastri, colle pieghe del giacere per terra, e la crosta di plovere e fango che non s’ha più la forza di sbattere: il rosso della terra del Carso sugli abiti e sui volti…occhi bruciati sotto le palpebre che tirano, occhi spenti, atoni; volti invecchiati e infossati… Il volto della guerra.
16 – Malessere. Mi rendo conto sempre più esatto – e sconfortante – del rilassamento della compagnia… Graduati da poco, ufficiali mezzo fiaccati – soldati in abbandono…
Ho provato a parlargli ma senza forza… In parte è colpa delle mie condizioni fisiche. Stomaco che non funziona, orecchio, vertigini.
17 – Notte penosa, mattinata brutta, senza mangiare da ieri, dissenteria, mal di capo, la parete dell’orecchio sempre più ottusa, s’ingrossa e pesa, le gambe che traballano, caldo e sudore quasi di febbre in pelle in pelle. Giù sulle foglie, spossato.
Arriva l’ordine di partire, per questa sera …– il 3° Battagl. viene a darci il cambio qui. Lo comanda un ten. colonn. E trova modo di star indietro quando si prepara un’azione (è stato in 1° linea 5 giorni, per 15 degli altri). Tutti lo notano, senza molta meraviglia. Inasprimento e stanchezza: le solite meschinità che logorano il nostro servizio.
La guerra non ha cambiato niente.
Il miracolo è che si vada avanti lo stesso … ma che comandanti, che soldati!
Farò una morte oscura e sciupata, in questa compagnia!
Una morte che non mi dispiace …
19 – ore 11 – E’ cominciato l’attacco…
La trincea rioccupata e perduta: le bombe…. Scoramento. Da ricominciare. Che cosa resterà da fare a me? Esame di coscienza: triste. Si fa sera, tra le nuvole e la luce fresca.
Il 19 luglio, dopo una terribile battaglia (il monte Podgora fu teatro di un tale macello da venire chiamato “Calvario“), aveva chiuso l’ultima pagina del Diario con queste parole di grande suggestione a cui aveva fatto seguito un trattino orizzontale, come una premonizione che non ci sarebbero state altre pagine.
Eppure la mattina dopo (20 luglio) scrive alla madre una lettera tranquillizzante: “Cara mamma, un saluto in fretta anche stamattina, alzati all’alba. Niente di nuovo: le solite vicende di temporale e di sole, e lo spettacolo di un’azione che si intravede, e si sente rumoreggiare sui monti circostanti. Noi sempre al nostro posto, con molte faccende nei servizi di seconda linea…”
Inizia l’assalto alle linee nemiche: la compagnia comandata da Serra ha il compito di avanzare lungo le pendici del monte Podgora nella località “Vallone dell’acqua”.
Superata una prima linea austriaca e conquistato un camminamento di fronte alla seconda, Serra e i suoi soldati si trovano sottoposti ad un martellante fuoco di sbarramento.
Si fermano acquattati a terra per attendere il momento propizio per proseguire l’assalto.
Ascoltiamo il racconto del sottotenente Michele Ugolini di Rimini fatto vari anni dopo ad Aldo Spallicci: “Alle 15,00 del pomeriggio di tutti gli ufficiali del battaglione eravamo rimasti soltanto in tre e, precisamente, il tenente Serra, il tenente Adinolfi ed io, attorniati da un centinaio di soldati. Ci eravamo rifugiati in uno stretto camminamento dal quale osservavamo le mosse nemiche per poter fronteggiare la criticissima situazione. Alle ore 16, oo circa, il tenente Serra, nonostante le nostre raccomandazioni, si eresse in piedi per meglio controllare la situazione: in quello stesso istante cadde tra le nostre braccia fulminato da una pallottola nemica che lo aveva colpito in fronte. Non un grido, non un lamento…”
Pare che un soldato, vedendolo pericolosamente allo scoperto, gli abbia gridato: “Si abbassi, signor tenente! Si abbassi!”.
Invano… il colpo di un cecchino lo colpisce mortalmente alla testa.
La battaglia continua e il corpo viene avvolto con un telo da tenda e lasciato nello stesso camminamento per essere recuperato più tardi da un caporale di Cesena che testimonierà: “Stava supino, con la testa riversa sul pendio. Sorrideva. L’uniforme era intatta.” (L’uniforme è ora conservata a Casa Serra).
Il sorriso di Serra conferma la serenità con cui ha affrontato la morte, in analogia con la serena morte di Socrate raccontata da Platone nel Fedone, la sua ultima lettura in trincea.
Aveva capito subito il volto triste e meschino della guerra ma aveva continuato a svolgere con dignità il proprio compito di ufficiale.
Non si è sottratto ai suoi doveri, ha fatto la sua parte con sobria, determinata dignità.
Chissà se, nell’attimo estremo, avrà davvero sorriso al cielo azzurro del pomeriggio, alle bianche nuvole sospese sopra i fumi acri della battaglia?
A Serra viene assegnata la medaglia d’argento al valore militare.
La salma rimane per sei anni nel cimitero di Mossa e solo nel 1921 viene finalmente trasferita a Cesena, accolta con onore e commozione.
Dopo una sosta in Malatestiana (la “casa dei libri“ di cui Serra era stato direttore) dove viene sommerso da una moltitudine di fiori ed un funerale a cui sembra partecipare tutta la città, il feretro viene portato al Cimitero (l‘orazione funebre è svolta dall’on. Ubaldo Comandini).
Era il tardo pomeriggio di domenica 24 luglio 1921 e “… dietro la Rocca Malatestiana il sole di grandezza smisurata scendeva giù e barbagliava sul feretro, sui fiori, su noi: una specie di smarrimento“ (Alfredo Panzini).
Il tenente Serra da quello che ho potuto leggere era al fronte con la consapevolezza del proprio dovere fino a donare la vita per la patria. A differenza di quei ufficiali superiori che si tiravano indietro e ce ne erano tanti. La storia dei diari di chi era in prima linea insegna.