Buon giorno care amiche e cari amici! Oggi Vi propongo un argomento legato alla ricorrenza del Venerdì Santo e della Passione di Cristo:
Un cielo plumbeo incombe sulla Croce posta di traverso, in modo che la scena acquisti profondità e maggiore sia lo spazio in cui si accalcano cavalli, soldati e seguaci di Gesù. Sullo sfondo del cielo scuro si intravvedono i contorni delle altre due croci ed il corpo di uno dei ladroni, contratto nello spasimo della morte. Un chiarore lontano, al centro della tela, ci indica che è l’ora del crepuscolo, un crepuscolo inquieto che diventerà notte fosca e angosciata. La tormentata fine del giorno accompagna la morte dell’Uomo che è sulla Croce.
Ma un’aureola luminosa indica che la morte non vincerà. Da quell’aureola viene la luce che illumina il corpo di Cristo, facendone risaltare le forme potenti. Alla fissità di quel corpo si contrappone l’agitazione delle figure tutt’intorno. Un vento di concitata agitazione scuote i soldati e i discepoli di Gesù in gruppi contrapposti, a rappresentare simbolicamente il Bene e il Male che si fronteggiano. Da un lato Giovanni Battista sorregge Maria svenuta, il volto scavato dal dolore, le mani contratte. Accanto a loro, Giuseppe d’Arimatea e le altre Marie angosciate. Al lato opposto i carnefici: tre soldati a mezzo busto confabulano inquieti, un cavaliere a stento trattiene il cavallo, un soldato con una lancia si porta una mano sul petto.
Siamo al culmine della tragedia: Gesù è spirato, il cielo si incupisce per l’imminente, terribile tempesta, i discepoli sono disperati, i soldati in preda a sorpresa mista a paura.
La tela (cm.320×200) che raffigura questa notevole “Crocifissione” è collocata sulla parete sinistra della Chiesa di San Domenico, sopra la porta che conduce alla sacrestia.
Si tratta di uno tra i quadri più importanti conservati a Cesena.
Don Domenico Bazzocchi, parroco dal 1805 al 1845, a cui si deve l’acquisto di gran parte dell’importante patrimonio pittorico della Chiesa (quasi una pinacoteca, soprattutto per quanto riguarda i secoli XVI° e XVII°) scriveva: “dagli intelligenti, che vengono a posta a vederlo, si stima il migliore di tutti. L’autore che si sappia non si conosce”. Oggi prevale l’attribuzione al pittore forlivese Francesco Menzocchi, sulla scorta di un’attribuzione del grande storico dell’arte Francesco Arcangeli in occasione della sua monografia sulla Chiesa di San Domenico.
Ma nella mia tesi di laurea sul pittore forlivese Livio Agresti, svolta proprio con Arcangeli, ritenni di attribuire la tela a questo pittore per molteplici ragioni e, soprattutto, per una tragicità che manca nelle opere del Menzocchi. Arcangeli accettò la mia attribuzione e apprezzò la tesi. Del resto anche in passato non erano mancati i riferimenti ad Agresti.
Livio Agresti (Forlì 1510 c.a. – Roma 1579) è stato esponente di primo piano della pittura romagnola del ‘500, attivo a Forlì (sue opere sono conservate in Pinacoteca e in alcune chiese), Firenze ma, soprattutto, a Roma (suoi affreschi ornano le pareti del prestigioso Oratorio del Gonfalone e della Chiesa di Santo Spirito in Sassia) e in varie città dell’Umbria.
Nell’Oratorio del Gonfalone sono un’Ultima Cena, una salita di Gesù al Calvario ed una Crocifissione manieristicamente movimentata come quella di San Domenico. Nella nostra Pinacoteca è esposta un’altra “Crocifissione” di chiaro stampo manierista attribuita ad un non precisato pittore forlivese di fine sec. XVI.
Qualche analogia con un disegno di Agresti sullo stesso tema e l’atmosfera di drammaticità simile a quella della tela di San Domenico mi portano ad ipotizzarne l’attribuzione allo stesso pittore.
Ad Agresti è stato recentemente assegnato da Alex Cavallucci un piccolo, delizioso “San Giovanni Battista” dipinto su rame (una tecnica in cui Agresti eccelleva) e conservato nel Museo del Duomo.
Opere diverse ma tutte di grande efficacia artistica.