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Care amiche e cari amici, buona domenica 27 dicembre 2020, una giornata che rimarrà nella storia come l’inizio della più grande vaccinazione di massa che speriamo ci porti fuori dalla pandemia! Quando, il 17 marzo scorso, ho iniziato questa Rubrica su Cesena, non avrei pensato sarebbe durata così al lungo e ancora per un po’ vi accompagnerà nell’anno nuovo. Oggi visitiamo (virtualmente) una istituzione che dovrebbe essere considerata tra le più importanti nel panorama culturale della nostra città:

E’ vero, la nostra Pinacoteca non contiene capolavori, non c’è un Giotto, un Simone Martini, un Raffaello, un Michelangelo, un Leonardo, un Caravaggio e neppure un Modigliani, un De Chirico… E allora? Per questo deve essere così trascurata, come se i quadri che contiene non avessero alcun valore, non potessero essere interessanti, suscitare emozioni, raccontare storie? Cesena ha un bellissimo teatro, istituzioni musicali importanti, un patrimonio cinematografico di valore, una Biblioteca Malatestiana straordinaria e, invece, nel campo dell’Arte, presenta un enorme deficit, una incredibile sottovalutazione del valore delle arti figurative.

Nonostante ciò, la nostra Pinacoteca, pur nei suoi limiti qualitativi e di spazio, presenta motivi di interesse.

Già la sua collocazione non ne favorisce la fruizione, al secondo piano dell’ex convento di San Biagio, in via Aldini, in un contesto poco accogliente, anche se, all’ingresso, cerca di indurci a salire un “San Francesco” di Mario Morigi.

Salite le rampe di vecchie scale entriamo nella Pinacoteca e nello spazio che contiene le opere che vanno dal secolo XIV° al XVI°, ai lati del quale ci sono altri due ambienti che raccolgono opere dal secolo XVII° agli inizi del XIX° (a sinistra) e dal XIX° al XX° secolo (a destra).

Le opere più antiche sono costituite in massima parte da quadri di soggetto sacro e può essere interessante vedere come la raffigurazione della Vergine cambi nei secoli, dalla “Madonna della pera” attribuita a Bitino da Faenza (prima metà secolo XV°) ancora su sfondo d’oro alla maniera bizantina fino alle Madonne di Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, molto apprezzate e diffuse attraverso stampe e “santini”, caratterizzate da grazia e dolcezza, espressione di una religiosità serena e fiduciosa, quasi fuori del tempo in un secolo travagliatissimo come il ‘600 (basti pensare alla peste, alle guerre, alle violenze descritte nei “Promessi sposi”), tormentato da guerre, pestilenze, miseria.

Tra questi due estremi troviamo una “Madonna con Bambino in trono tra l’Arcangelo Michele e Sant’Antonio Abate” che mostra, nelle figure dei diavoli e nelle grottesche, l’estro di Antonio Aleotti da Argenta a cui sono attribuiti, sulla parete di fronte, i tre Santi protettori su tavole provenienti probabilmente dalla Chiesa di Sant’Agostino: San Cristoforo, San Rocco e San Sebastiano, invocati contro tutta una serie di pericoli tra cui, in primo luogo, la peste.

Tra le immagini di Santi vorrei segnalare un bell’affresco (autore ignoto, secolo XIV°) staccato proprio da un ambiente del convento che mostra San Biagio che allarga il mantello per accogliere e proteggere le monache. San Biagio era invocato contro le malattie della gola, avendo salvato un bambino che stava per morire soffocato da una lisca di pesce.

Di efficace impatto è la tela che raffigura i “Santi Filippo Apostolo e Francesca Romana” di Cristoforo Serra (1600-1689), personalità forte, capitano delle milizie, artista per diletto e passione ma che divenne il massimo esponente della pittura cesenate del Seicento, maestro di altri artisti tra i quali si distinsero Cristoforo Savolini e Giovan Battista Razzani di cui, sulla parete di fronte, possiamo vedere l’”Estasi di San Guarino” e un potente ritratto di “Frate Tommaso da Caltagirone”.

Tra le opere di tema non religioso, interessante è la tela con “Artemisia che ingerisce la cenere di Mausolo” attribuita a Girolamo Forabosco, pittore veneziano del ‘600.

Artemisia amava tanto il marito Mausolo, re di Alicarnasso, da far costruire, alla sua morte, una tomba tanto monumentale da diventare una delle meraviglie del mondo antico (da cui il termine “mausoleo”) ma, ancora insoddisfatta, ritenne che il luogo più adatto ad ospitarne le ceneri fosse il proprio corpo.

Altre opere meriterebbero un cenno, tra cui alcuni efficaci ritratti ma è opportuno passare all’ambiente di sinistra dove spiccano due ampie opere collocate su opposte pareti.

Una tela è, forse, l’ultima opera di uno dei più importanti artisti italiani del ‘700, il “Sacrificio di Ifigenia” del veneziano Giovan Battista Piazzetta (fine ‘600-metà’700).

Stilisticamente troviamo qui lo stile tipico del Piazzetta ispirato ad una rappresentazione realistica con il suo tipico chiaroscuro a tinte marroni.

Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra, deve essere sacrificata per consentire alla flotta achea di riprendere il mare verso Troia, superando i venti contrari inviati da Artemide offesa da Agamennone che si era vantato di essere più bravo di lei nella caccia.

Agamennone chiama a sè Ifigenia facendole credere che andrà sposa ad Achille.

Accetta quindi il sacrificio della figlia pur di rimanere comandante della flotta greca. Ifigenia, capito l’inganno, accetta comunque di essere sacrificata, compiendo un atto di grande generosità e mostrandosi l’unico personaggio dall’animo nobile. Fortunatamente Artemide la sottrae al sacrificio sostituendola con una cerbiatta. Una vicenda simbolica della brama di chi è al potere che, per arrivare ai propri obiettivi, è pronto a sacrificare gli affetti più cari e vittime innocenti.

L’altra tela (firmata da Enea Pironi e datata 1839) ci porta, invece, nella Cesena dei primi dell’Ottocento, precisamente il 20 aprile 1814, quando papa Pio VII Chiaramonti fece il suo ingresso trionfale nella sua città natale da Porta Santi, nel viaggio che dalla Francia lo riportava a Roma.

In Francia aveva incoronato imperatore ed era stato tenuto in una specie di prigionia da quel Napoleone che è lì a pochi passi, in una tela di Vincenzo Baldacci che è copia di un ritratto a figura intera di Francois Gerard.

Nella sala sono anche presentati i bozzetti della cupola della Madonna del Monte realizzata da Giuseppe Milani ed altre opere tra cui segnalo il simpatico “Uomo con gatto” di Giovan Francesco Cipper detto il Todeschini (tra ‘600 e ‘700), molto efficace nella rappresentazione del pover’uomo che ride in modo piuttosto ebete e del vispo animale che, forse, è la sua sola consolante compagnia.

 

Vi sono poi alcuni ritratti tra cui quello del cardinale Carlo Bandi (dipinto da Agostino Plachesi) in cui possiamo intravvedere le fattezze della madre contessa Cornelia, vittima di una misteriosa combustione nella notte del 14 marzo 1731, un caso misterioso e strano che appassionòscrittori di tutta Europa, da Leopardi a Charles Dickens che lo riteneva il più famoso caso di autocombustione.

Infine, nel terzo ambiente, troviamo opere dei pittori tra fine Ottocento e Novecento, da Anselmo Gianfanti (“Ritratto di donna”, “Nudo” e altri) a Paolo Grilli (ritratti) allo scultore Tullo Golfarelli (un bel busto di Flora), da Gino Barbieri (tra cui una misteriosa tavola imbandita con un coltellaccio che spicca sulla bianca tovaglia) a Giordano Severi (due vedute del Cesuola e ritratti di personaggi del popolo), da Fortunato Teodorani (un autoritratto e una “Processione del Corpus Domini”) a Giannetto Malmerendi (una “Veduta di Roversano” e un autoironico “Sogno”), da Alessandro Bagioli (“Il pranzo dei poveri”) ad un quadro di Eugenio Amadori con un bel ritratto della madre.

Altre opere rappresentano aspetti di Cesena, come una “Osservanza sotto la neve“ di Jole Ambrosioni, un “Teatro Verdi“ di Otello Magnani, una “Veduta della Basilica del Monte“ e “Tetti di Cesena“ di Osvaldo Piraccini.

Troviamo poi una selezione di opere di stampo realisticamente impegnato realizzate da Alberto Sughi (“ECA”, “Pescatori” e altre), Giovanni Cappelli (“Carbonai”, “Operai nelle saline”) e Luciano Caldari (“Pescatori che tirano in secca una barca”). Infine una panoramica di artisti non cesenati e, per tornare in ambito locale, una serie di caricature di personaggi della nostra città (una Cesena felliniana) realizzate da Mario Morigi.

Ovviamente ho accennato solo a una parte delle opere presenti nella nostra Pinacoteca che (stranamente) non contiene neppure un quadro della nostra pittrice più importante, Caterina Baratelli di cui pur il Comune possiede numerose opere sparse in vari uffici e a Casa Serra.

Mancano inoltre importanti opere dislocate in altri luoghi, come il ”San Francesco” del Guercino che si trova nella Chiesa dei Cappuccini o i ritratti dei Papi Braschi e Chiaramonti che sono nel Palazzo Comunale.

Ma, anche così (a mio parere) la nostra Pinacoteca merita maggior interesse da parte dei Cesenati. Chi, dal computer di casa, volesse fare una visita virtuale, può andare su Google e scrivere: “visita virtuale Pinacoteca Cesena”. Troverà una piantina (pur non aggiornatissima) della Pinacoteca da cui potrà accedere alla visione delle opere con una breve illustrazione, un modo per prepararsi ad una visita reale. Per chi ama l’arte, merita di farlo!

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1 Commento

  1. Laura 12 Ottobre 2021

    La provincia italiana tutta da scoprire…grazie!!!

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