a cura di Lelio Burgini
Quello fra Cesena, il suo santo Patrono e il fischio di San Giovanni, è un legame che si perde nella notte dei tempi. La festa del nostro Patrono coincide con un importante momento del calendario solare, ossia i giorni del solstizio d’estate : un periodo dell’anno molto particolare (al pari del suo opposto, che è il Natale) in cui le giornate smettono di allungarsi, per ricominciare ad accorciarsi. Una notte quindi “fuori dal tempo” e per questo – sin dall’antichità – considerata magica e piena di paure da esorcizzare.Anticamente infatti, l’angoscia di rivedere accorciarsi le giornate e il conseguente, imminente ritorno della stagione fredda e della “morte” della natura, portavano a credere che entità nefaste e altri personaggi dell’aldilà, tornassero ad una dimensione terrena, portando caos e disagio nel mondo.
Un metodo per cacciare queste figure (forse il più antico conosciuto dall’uomo!) era il frastuono: fare rumore, con qualsiasi oggetto fosse a portata di mano.
Anche a Cesena, era ovviamente viva questa tradizione millenaria.
Le cronache del XVII° secolo, riportano come un vescovo cesenate, nel giorno di San Giovanni, fosse addirittura costretto a proibire tutti questi strepiti e rumori.
La guerra tra sacro e profano dura da 2000 anni e non si è mai arrestata! Tra gli strumenti rumorosi utilizzati smodatamente nel giorno del nostro Patrono, antichi cronisti scrissero di “fischi, trombe, campanacci e pive” e sarà proprio un fischietto a diventare il simbolo “pagano” della festa cesenate.
Anno 1935: il primo a raccontare questa storia, giunta oggi fino a noi, è quel Dino Fabbri (il mitico “ Filep” o “Cecino caldo”) di cui, più volte, abbiamo già parlato in questa pagina.
Fabbri, era un bambino di 8 anni, quando si recò a Forlì in treno, assieme alla madre, a ritirare i primi fischietti di zucchero rosso, a forma di galletto o piccola oca.
Ma per conto di chi fece questo primo viaggio, portando con sé i primi, preziosissimi fischietti?
Quest’idea fu di alcuni ambulanti dolciari, che già all’epoca si spostavano di fiera in fiera e che come i loro colleghi odierni, cercavano un modo per coniugare tradizione e business. Questi ambulanti erano i fratelli Vitali di Forlì, nipoti di Vincenzo Papi (originario anch’egli di Forlì) e che era proprietario di una piccola fonderia a Cesena.
Forti del legame col parente in grado di aiutarli creando per loro i primi stampini, li riempirono con l’ormai celebre zucchero rosso, dando vita al dolce fischietto, così amato dai bambini cesenati. Vincenzo preparò a mano quei primi stampini e diede loro la forma di una piccola oca (c’è chi dice che il toponimo della Valdoca possa aver influenzato la scelta)esattamente come noi – ancora oggi – lo conosciamo.
Bellissima idea grazie
Bello!