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Nel 1375, in vista di un imminente ritorno del papa a Roma da Avignone, i legati pontifici stavano riassoggettando i territori dello Stato della Chiesa che, dopo la peste nera del 1348, erano stati sottoposti a epidemie, carestie e stagnazione economica dovuta alla mancanza di manodopera. I legati pontifici erano tutti di origine francese e mal visti dalla popolazione locale. In queste condizioni, Firenze fece richiesta di grano a Bologna, ma il cardinale della città, Guglielmo di Noellet, rifiutò di concedere l’aiuto richiesto.

In questo contesto ebbe inizio la guerra degli Otto Santi fra Firenze e altre città italiane contro il papato.

I fatti però presero una piega molto particolare quando i bolognesi, nel 1376, cacciarono il legato di Bologna, Guglielmo di Noellet, suscitando l’immediata reazione di Gregorio XI, che affidò al cardinale Roberto di Ginevra un esercito di mercenari stranieri (bretoni e inglesi) per assediare la città, che però si difese così bene da indurre la soldataglia a svernare in Romagna.

I due carnefici: Roberto di Ginevra a sinistra e John Hawkwood (Giovanni Acuto)

Nel novembre del 1376 il cardinale Roberto pensò bene di chiedere ospitalità a Cesena. La scelta non fu casuale: all’epoca, veniva descritta come la più ricca città di Romagna nonché ancora totalmente fedele al Papa. Galeotto Malatesta, con l’arrivo del cardinale, lasciò la città e si diresse a Rimini, forse perché mal sopportava la presenza arrogante dei bretoni oppure perché avvertiva quanto di lì a poco sarebbe potuto accadere.

A Cesena arrivarono solo i Bretoni, comandati dal capitano di ventura Jean de Malestroit; gli inglesi, capeggiati da John Hawkwood (Giovanni Acuto) e da Alberico da Barbiano, si accamparono a Faenza.

L’accesso alla “Murata” dal ponte levatoio sul Cesuola di via Zeffirino Re

Sembra che i patti fossero chiari: Il cardinal Roberto di Ginevra sarebbe stato alloggiato onorevolmente all’interno della Murata ma quella gentaglia che combatteva solo per denaro si sarebbe dovuta accampare fuori dalle mura con la possibilità di entrare in città, per le necessità, solo pochi di loro per l’approvvigionamento di viveri. Stando ad alcune fonti, probabilmente l’esercito era composto da 4000 cavalieri e 6000 fanti: un numero davvero considerevole. Cesena era una città piuttosto popolosa per l’epoca. Il centro storico, come lo vediamo oggi, era già in gran parte in piedi e costituiva il cuore della città.

L’accesso alla “Murata” dalla porta del Soccorso, nell’attuale salita di via Fattiboni

La Cronaca malatestiana descrive così le fasi antecedenti la terribile strage.

Già sul finire dei 1376, le milizie di Roberto occuparono le campagne cesenati, facendo razzie e privando la popolazione di ogni mezzo di sostentamento. I contadini, ridotti alla fame, iniziarono ad avvicinarsi al centro urbano nella speranza di trovare cibo, ma senza particolare fortuna. Devastato il forese, i Bretoni fecero ingresso in città, continuando le ruberie iniziate fuori dalle mura, divorando ogni cosa, sforzando uomini e donne in maniera da superare ogni limite d’umana sofferenza, i Bretoni pretendevano asportar generi dalle botteghe senza pagare molestando le donne sotto gli occhi dei padri, dei fratelli, dei mariti, dei fidanzati».

Le risse divennero all’ordine del giorno. In poco tempo con la presenza dei bretoni in città si venne a creare un clima di forte tensione.  

La miccia che fece scoppiare la bomba venne innescata il 1° febbraio 1377, quando al rifiuto di pagare un pezzo di carne, un macellaio cesenate uccise un bretone con un roncone e di lì a poco scatenò una vera e propria guerriglia urbana. La popolazione esasperata reagì violentemente uccidendo trecento soldati bretoni (alcune fonti parlano anche di 800) e obbligando gli altri a rifugiarsi nella murata.

La reazione dei cesenati ai soprusi dei soldati provocò l’ira del Cardinale pronto a dare l’esempio con la forza e, con essa, della forza dei brutali mercenari che avrebbero dovuto difendere la supremazia del papato di fronte a chiunque si ribellasse a quel potere. Cesena sarebbe stata punita duramente.

Il cardinale ingannò le autorità rassicurandole che non ci sarebbero state ritorsioni, ma in gran segreto mandò a chiamare a Faenza le truppe inglesi capeggiati dall’Acuto, che, il 3 febbraio, entrarono in città da Porta Cervese (l’attuale Barriera Cavour) unendosi ai miliziani Bretoni che nel contempo uscirono dalla Murata per riversarsi nel Borgo Chiesa Nuova. Pare che Giovanni Acuto non fosse incline a fare una carneficina ma il Cardinale ordinò “uccideteli tutti”.

Porta Cervese, l’attuale Barriera Cavour

La strage fu consumata in tre giorni e tre notti (tra il 3 e il 5 febbraio 1377) al termine dei quali la città fu data alle fiamme. Non si trattò di un semplice “sacco” ma un vero e proprio eccidio.

Le cronache parlano di un numero di morti non inferiore a 3000 secondo altre fonti 4000 o addirittura 5000. Per comprendere appieno questi dati bisogna ricordare che Cesena era una città molto più piccola di quella attuale, all’interno della quale probabilmente non vivevano che circa 8000 persone. La narrazione delle cronache descrive una efferata crudeltà che si riversò su donne e bambini strappati alle culle e colpiti in testa da grossi sassi oppure presi per i piedi e sbattuti contro i muri.

Secondo le stime, circa tremila persone riuscirono a fuggire dalla città rifugiandosi a Cesenatico, Cervia e Rimini. Alcuni gruppi di cittadini si riunirono nelle campagne limitrofe organizzando imboscate ai soldati Bretoni, le cronache raccontano di due pozzi nei pressi di Gattolino e  Belpavone (oggi Pioppa dove esiste ancora una via bel pavone)  riempiti dai cadaveri dei miliziani uccisi.  Roberto di Ginevra rimase così a controllare direttamente quello che era rimasto della città fino al 13 agosto quando con i miliziani uscì dalla murata per partecipare ad un nuovo assedio a Faenza.

Il 4 giugno del 1378 Galeotto Malatesta ottenne dal Pontefice il dominio di Cesena ridotta ad un cumulo di macerie. Il principe cercò di dare un grande impulso alla città ma le tracce del sacco rimasero a lungo tant’è che furono necessari diversi anni per ripopolare e ricostruire la città.

Il ricordo del sacco fu in larga parte lasciato ad una serie di narrazioni tramandate di padre in figlio e codificate dall’opera di storici cittadini quali Giuliano Fantaguzzi, Nicolo II Masini e più recentemente Nazzareno Trovanelli.

Con l’andare del tempo si perse purtroppo la necessità di rievocare questo eccidio che ha marcato così fortemente la storia della città di Cesena.

Tratto da:

Andrea Sirotti Gaudenzi, L’eccidio di Cesena, Invictus Editore  2014

Illustrazioni di Antonio Dal Muto tratte da “Il cristianesimo a Cesena dalle origini al 1377”

 

 

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1 Commento

  1. Mario Battistini 4 Febbraio 2023

    Un periodo della nostra città che andrebbe fatta conoscere alla popolazione di oggi, come storia

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