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Omaggio a Raffaello

Buon giorno care amiche e cari amici! Oggi, in occasione della ricorrenza della morte di Raffaello, prendendo spunto da un’opera conservata nella nostra Chiesa di San Domenico, che speriamo di tornare a visitare quanto prima.

Poco più di 500 anni fa, il 6 aprile 1520, moriva a Roma, del tutto prematuramente e misteriosamente (il contemporaneo Giorgio Vasari scrisse a causa di una fortissima febbre dovuta ad eccessi amorosi), un genio dell’Arte, Raffaello Sanzio, nato giusto 37 anni prima, a Urbino, il 6 aprile 1483.

Sia la data di nascita che di morte coincisero con il venerdì santo, come a significare la eccezionale personalità dell’artista ed il carattere sacro di quella nascita e di quella morte.

Ovviamente qui non è il caso di affrontare l’analisi della straordinaria attività di Raffaello, la qualità delle sue opere caratterizzate da eccezionale bellezza, equilibrio, armonia e la sua poliedricità (fu anche architetto, come Leonardo e Michelangelo).

Raffaello esprime compiutamente i valori del Rinascimento e, forse, l’opera in questo senso più esemplare è la “Scuola di Atene” in cui, all’interno di una grandiosa architettura classica, raffigura i filosofi dell’antichità dando ad alcuni di essi le sembianze di artisti contemporanei, tra cui lui stesso, come a dire che passato e presente sono inscindibili, che l’antico deve rivivere nella contemporaneità, che non c’è cultura senza memoria.

Del resto Raffaello fu un appassionato cultore dei documenti antichi (lapidi, iscrizioni, architetture) e volle essere sepolto in un edificio simbolico come il Pantheon.

A Cesena non abbiamo alcuna opera di Raffaello ma abbiamo un’opera che contiene evidenti rimandi ad una delle sue realizzazioni più significative, anzi al suo ultimo capolavoro che lui volle fosse esposto al suo capezzale.

Mi riferisco alla “Trasfigurazione di Cristo”, grande dipinto su tavola (410x279cm) ora conservato nei Musei Vaticani.

Il dipinto di Cesena è la “Madonna del Rosario con S. Domenico e una schiera di supplici”  che si trova nella terza cappella (ma vado a memoria, non posso verificare e spero di non sbagliare) della parete sinistra della Chiesa di San Domenico.

La grande tela, collocabile come datazione intorno al 1600, è opera di un artista molto apprezzato al suo tempo, Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, nato ad Arpino nel 1568 e morto a Roma nel 1640.

Esponente di spicco della pittura tardo manierista, fu molto attivo a Roma e Napoli ed ebbe anche un ruolo importante nella formazione di giovani pittori poi divenuti eccellenti artisti come Guido Reni e Caravaggio che, scrive Gian Pietro Bellori, nella bottega del Cesari «fu applicato a dipinger fiori e frutti sì bene contraffatti, che da lui vennero a frequentarsi a quella maggior vaghezza che oggi tanto diletta»…. la nascita della natura morta di cui Caravaggio ha lasciato prove eccezionali.

Ma torniamo alla tela di San Domenico che un tempo era collocata nell’Oratorio della Compagnia del Rosario che sorgeva nell’area ora occupata dal coro della Chiesa.

Dopo la soppressione della Compagnia, nel 1725 e la demolizione dell’Oratorio, la tela fu portata in Chiesa.

La composizione è divisa in due parti.

Nella parte superiore vediamo la consegna della corona del Rosario a San Domenico da parte di Maria che tiene sulle ginocchia un Gesù Bambino scalpitante, forse per non essere da meno degli Angioletti svolazzanti che circondano la scena.

Nella parte inferiore vediamo una schiera agitata di supplici che implorano l’aiuto celeste.

A mio parere un’invenzione geniale è quella porta che separa le persone supplicanti e lascia vedere un bel cielo, arrossato forse dal tramonto, come nella “Trasfigurazione” di Raffaello e, in lontananza, un panorama di città.

E’ proprio in questa parte inferiore che troviamo dei rimandi all’opera del genio di Urbino.

La donna inginocchiata in primo piano che, abbracciata alla vita dal figlioletto, alza un braccio al cielo, richiama la donna inginocchiata, sempre in primo piano, che nella “Trasfigurazione” di Raffaello indica il ragazzo miracolato da Gesù in quanto posseduto dal demonio.

E il braccio della donna rievoca quello del ragazzo.

Entrambe le opere (con qualità ovviamente diversa) mostrano le difficoltà in cui si dibatte l’umanità ma invitano alla speranza.

E, in questi giorni, di speranza abbiamo davvero bisogno.

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