Buon giorno care amiche e cari amici che continuate a leggere i miei scritti! Oggi vi aspetta un argomento forse complesso ma fondamentale per comprendere la novità e l‘importanza di Renato Serra nella critica e letteratura italiana ed europea:
Il 20 novembre 1915, quattro mesi dopo la morte di Renato Serra, usciva sul settimanale torinese “Il grido del popolo“ un articolo di Antonio Gramsci straordinariamente elogiativo sulla sua figura di intellettuale e di uomo.
Già il titolo La luce che si è spenta è ricco di suggestioni perchè richiama il romanzo The Light that failed di Rudyard Kipling, scrittore che Serra amava e anche Gramsci ammirava se, dal carcere, ne consigliò la lettura al figlio Delio.
A questo romanzo Serra aveva dedicato alcune pagine nel saggio Rudyard Kipling, confermando la sua propensione per una letteratura che intenda arrivare al cuore del lettore e alla vita, uscendo dal chiuso ambito specialistico.
Gramsci mostra di cogliere il senso profondo della critica di Serra, ponendolo in una dimensione di primo piano nella cultura europea e affermando che, a quei critici che, con la loro erudizione, allontanano i lettori e si comportano come maestri troppo esigenti che scoraggiano chi desidera imparare, Serra “ha dato una lezione di umanità; in ciò egli ha veramente continuato Francesco De Sanctis, il più grande critico che l’Europa abbia avuto.”
La grandezza di De Sanctis e Serra sta non solo nella profondità dell’analisi critica ma, innanzi tutto, nell’intento pedagogico volto a facilitare il rapporto del lettore con il testo letterario che diventa un percorso di elevazione spirituale verso la bellezza.
Nello scritto “Per un catalogo” Serra ci fornisce una bella definizione di “lettura critica” che è “gioia di accostare le grandi cose belle, e di comprenderne lentamente la nobiltà nell’animo puro.”
L’analisi del testo come dialogo con l’autore da un lato e con il lettore dall’altro e questo spiega la presenza nei testi serriani di squarci sulla propria vita ed i propri stati d’animo che è la novità e la suggestione del suo modo di fare critica.
Per fare un esempio, ecco un brano della prefazione al “Fra’ Michelino e l’eresia” di Armando Carlini in cui troviamo una singolare descrizione di Cesena: “Ti piaceva di fermarti sul ponte che valica il Savio col grande ponte quasi romano; appoggiato al pacifico parapetto guardavi l’acqua poca e lenta passare laggiù tanto in basso, mentre io ti aiutavo a trovare per il gran piano dilagante il luogo di Ficchio, piccolo punto quasi smarrito presso una curva lontana del fiume, dietro un velario di pioppi che si confondeva con la caligine azzurra dell’estremo orizzonte….Di sul ponte è più facile orientarsi: c’è la rocca dietro, a ridosso, con gli avanzi della vecchia murata, che coronano l’ultimo colle strapiombante sul fiume; tutto il bacino del Savio a monte e il piano aperto a valle fino al mare si dispongono intorno a questo centro naturale come in un quadro perfetto, dove ogni particolare ha il suo posto certo.
Dal colle dei Cappuccini, dov’ero, la prospettiva è diversa….La pianura nella nebbia di novembre mi sembrava immensamente monotona e scolorata, vuotata di tutti i nomi e dei segni e delle orme dei viventi.“
Ma Gramsci non si limita a parlare di “intellettuale nuovo” e definisce Serra “uomo nuovo”.
Eppure tra i due sono grandi le differenze di vita e pensiero che rendono il giudizio di Gramsci ancora più significativo.
Serra non aveva mai amato la politica ed era, comunque, rimasto legato alle tradizioni risorgimentali e repubblicane della sua famiglia.
Anche sulla guerra le posizioni erano diverse: Gramsci era neutralista, Serra aveva deciso di aderire alla guerra ma l’aveva fatto con motivazioni che dovevano aver colpito Gramsci e che consistevano nel bisogno di partecipare al destino comune con i suoi soldati che diventano “fratelli”, nell’esigenza morale di essere parte di quell’immane tragedia.
L’articolo di Gramsci terminava con parole di grande efficacia: “La guerra lo ha maciullato, la guerra della quale aveva scritto con parole così pure, con concetti così ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova umanità vibrava in lui; era l’uomo nuovo dei nostri tempi che tanto avrebbe potuto dirci ed insegnarci. Ma la sua luce si è spenta e noi non vediamo ancora chi per noi potrà sostituirla.”
Anche Geno Pampaloni (prefazione a “Renato Serra Lettere in pace e in guerra”) sottolinea questo carattere “esistenziale“ della critica di Serra: “In che senso dunque Serra era un critico? Prima di tutto era un critico lettore. La critica era per lui un momento del vivere. La sua “lettura” aveva un timbro assai più esistenziale che tecnico … Ed era poi un critico scrittore – senza dubbio quello di più alta qualità e di più vibratile poesia del nostro Novecento – che aveva il bisogno e il dono di restituire creativamente, nel proprio stile, le emozioni della lettura. Ed era, infine, un critico testimone…. visse il suo tempo con appassionante fraternità, con intelligenza partecipe…”
Infine le efficaci parole dello studioso cesenate Marino Biondi, dall’ introduzione a “Renato Serra: Le lettere e la storia Antologia degli scritti” (Soc. Edit. Il Ponte Vecchio Cesena 2005): “Serra è stata la maggiore e più complessa personalità espressa dalla cultura cesenate nel corso del XX secolo… Serra non ha mai inteso nè di fatto concepito le lettere come un mestiere…. Leggeva per amore… Ha sempre agito da uomo libero, libero e solo…. Il libro era una gioia leggera, dal libro doveva venire qualche lume supplementare alla vita, qualche ragione e occasione di contentezza, altrimenti era un inutile peso da aggiungere a quelli che la vita già portava abbondantemente con sè.”