Care amiche e cari amici, purtroppo, a distanza di un anno, questa pandemia ancora ci opprime! Sperando di farVi cosa gradita, oggi Vi propongo una passeggiata virtuale in alcune Chiese della nostra città di cui fino ad ora non mi sono occupato:
Storia e Bellezza sono diffuse in varie Chiese di Cesena oltre a quelle (Cattedrale, San Domenico, Sant’Agostino, Osservanza, Basilica del Monte) di cui abbiamo parlato in scritti precedenti.
Iniziamo questa visita virtuale con la Chiesa di San Zenone (in via Uberti) inizialmente fondata nel secolo XIII°, poi completamente rifatta nella seconda metà del XVIII° (1764) su progetto dell’architetto Pietro Carlo Borboni (il più importante architetto del suo tempo a Cesena). Presenta un campanile molto antico, il più antico della città, in quanto risale probabilmente ai secoli XIII° o XIV° e, all’interno, begli affreschi di Giuseppe Milani (1767-1769) che raffigurano la Trinità, gli Evangelisti, l’Immacolata Concezione, miracoli di San Zenone e la sua ascesa in Paradiso. Dello stesso Milani sono 14 piccole scene della Via Crucis. In due nicchie del catino absidale possiamo vedere le statue di S.Andrea e S.Francesco di Paola dello scultore Francesco Calligari (autore della statua di Pio VI nel nicchione del Palazzo del Ridotto). Una chiesa dalla struttura equilibrata, un ambiente sobrio, impreziosito tuttavia dalle opere dei maggiori artisti presenti a Cesena nella seconda metà del secolo XVIII°.
La Chiesa dei Servi di Maria è uno dei luoghi di culto più antichi di Cesena, più volte ricostruito fino all’attuale assetto (facciata sobria, interno a un’unica navata con tre cappelle per lato) che si deve ancora all’architetto Pietro Carlo Borboni tra il 1756 e il 1765.
Il ‘700 fu un secolo importante per la Chiesa cesenate che dovette attraversare un periodo di prosperità che consentì il rifacimento di molti degli edifici di culto come ancor oggi li vediamo: oltre alle Chiese di San Zenone e dei Servi, agli inizi del secolo venne ricostruita (come abbiamo visto in precedenti scritti) la Chiesa di San Domenico, nella seconda metà quella di Sant’Agostino e, al termine, quella dell’Osservanza e iniziata la ristrutturazione di San Pietro. Con l’elezione di Pio VII° Braschi, il ‘700 vide anche, per Cesena, l’enorme orgoglio di dare alla Chiesa tre Papi legati alla città.
Ma torniamo alla Chiesa dei Servi che, nel corso dell’occupazione (o liberazione, a seconda dei punti di vista) napoleonica, subì nei secoli varie traversie e, per un certo periodo, venne sconsacrata e utilizzata come magazzino, caserma, ospizio per famiglie senza tetto per tornare poi ad essere di nuovo frequentato luogo di culto.
Tra le varie opere d’arte, troviamo, nella controfacciata: a sinistra una bella “Madonna con Bambino” di autore ignoto e, a destra, il monumento funebre di Margherita Tiberti, moglie di Menelao, morta negli ultimi anni del 1400 (forse 1492?) con un’iscrizione (in latino) in cui viene definita “di incomparabile pudicizia e piissima fu tra le donne”.
Nella seconda cappella della parete sinistra, possiamo vedere, all’interno di una pregevole ancona in legno dorato, una delle più belle opere presenti a Cesena, il “San Carlo Borromeo comunica un appestato” (1619), attribuita al pittore Carlo Saraceni, veneziano ma attivo a Roma di cui sarebbe l’ultima realizzazione.
La pala fu donata alla Chiesa nel 1676 dal cardinale cesenate Francesco Albizzi, insieme alla grandiosa ancona lignea che la contiene. Si tratta di una composizione nello stesso tempo sobria e solenne, priva di particolari macabri eppure ugualmente emozionante, in cui apprezziamo la sapienza nell’uso dei colori (contrasto tra bianco del lenzuolo, delle cotte dei tre chierici e della veste del Santo con il rosso del piviale) indice di una sensibilità per il colore tipica della tradizione veneta. Sulla parete destra del transetto troviamo un grande monumento, opera di Francesco Calligari, contenente la lapide che commemora la cerimonia di consacrazione dell’altar maggiore, celebrata il 2 giugno 1782 da papa Pio VI Braschi.
Un gioiello architettonico è la Chiesa di Santa Cristina realizzata ai primi del secolo XIX° per volere del Papa Pio VII° Chiaramonti, di fronte al palazzo della famiglia nella via che ha preso lo stesso nome. Un edificio dalle dimensioni modeste ma dalla straordinaria architettura, quasi un piccolo Pantheon (riferimento scontato ma ineludibile), ideato dal geniale architetto Giuseppe Valadier (Roma 1762-1839), uno dei più importanti del periodo neoclassico, sia come progettista e costruttore che come teorico dell’architettura. Un edificio dalle pure linee neoclassiche che sorge su una possente e suggestiva enorme volta sotterranea, un altro dei contrasti di fascino della nostra città.
La Chiesa del Suffragio sorge di fronte al Palazzo del Ridotto, all’angolo con via Zeffirino Re. L’edificio presenta all’esterno un aspetto essenziale e severo che, forse, non induce a pensare che l’interno contenga un ricco apparato decorativo fatto di statue e quadri che sollecitano una riflessione sul rapporto vita e morte e sul significato dell’esistenza umana. Intitolata a Santa Maria, fu realizzata su progetto dell’architetto Pier Mattia Angeloni negli anni 1685-1689 per decisione della Confraternita di Santa Maria del Suffragio che aveva come scopi principali la commemorazione dei defunti e la preghiera e pietà cristiana verso le anime del Purgatorio (missione che mantiene ancora oggi).
La missione della Confraternita in favore dei defunti è richiamata in varie opere presenti nella Chiesa, come i medaglioni ovali delle ancone laterali o lo sfondo della pala attribuita a Giovan Battista Razzani che raffigura Maria Immacolata e vari Santi. In cima alle ancone degli altari laterali vediamo immagini di scheletri che contrastano con i puttini giocosi collocati poco più sotto, forse a ricordarci la contiguità tra vita e morte.
Altare commissionato da cardinale Francesco degli Albizzi per l’antica chiesa di san Francesco in Piazza Bufalini, conteneva il quadro di S.Margherita da Cortona, del Guercino, oggi esposto nella pinacoteca Vaticana a Roma
L’interno è a pianta rettangolare, con cupola sorretta da pilastri cruciformi. Possiamo notare la ricca decorazione a stucco e le statue della Fortezza e Temperanza ai lati dell’altare a sinistra e della Prudenza e Giustizia ai lati dell’altare di destra (1781) dello scultore Francesco Calligari, le statue della Carità e della Speranza del riminese Antonio Trentanove (1800) ai lati dell’altare maggiore e alcune tele tra cui, sull’altare maggiore, una delle più importanti del patrimonio cesenate: la “Nascita della Vergine e San Manzio vescovo” (1752) di Corrado Gianquinto a cui era stata commissionata mentre eseguiva gli affreschi sulla cupola della Cappella della Madonna del Popolo nella Cattedrale. Molfettese di nascita (1703) ma napoletano d’adozione, Giaquinto fu uno dei protagonisti della pittura italiana ed europea del ‘700, eseguendo opere per varie città e corti italiane e straniere come Roma, Torino e Madrid. Nella pala del Suffragio (contenuta in una imponente ancona) possiamo apprezzare la complessa ma ben costruita composizione, la modellatura delle figure e l’allegro e vivace senso del colore tipico del Rococò a cui Giaquinto aderì con entusiasmo.
Infine una visita alla Chiesa dei Cappuccini che sorge in un luogo appartato fuori città, sul colle Garampo da cui si gode un panorama stupendo, dalle colline all’ampia pianura fino al mare. Un luogo suggestivo ed anche (almeno per me) un poco inquietante, forse per il ricordo della misteriosa e tragica sparizione di una giovane, alcuni anni fa. In quel luogo fin dalla metà del secolo XVI° si insediò una comunità di frati cappuccini. La costruzione è sobriamente semplice, come si addice all’Ordine francescano. La volontà del Papa Pio VI° sarebbe stata di erigere una Chiesa più grandiosa ma le turbolenze napoleoniche impedirono il progetto che non fu mai realizzato. In cima alla salita, all’esterno della Chiesa ci accoglie il gesto benedicente del frate cappuccino Padre Guglielmo Gattiani raffigurato in una bella statua in bronzo realizzata dallo scultore cesenate Leonardo Lucchi. Padre Guglielmo, si legge su una targa, fu “maestro di spiritualità francescana” e “condusse una vita in povertà, austerità e coerenza”. La sua tomba si trova accanto all’ingresso della Chiesa, sormontata da una Pietà. Accanto all’ingresso si trovano anche formelle in cui sono raffigurati momenti della vita di San Francesco. Ma la più bella raffigurazione del Santo si trova all’interno, in una notevole tela di Giovan Battista Barbieri detto il Guercino che raffigura “San Francesco che riceve le stimmate” (1646 circa) opera di emozionante spiritualità, con il bel volto del Santo che si staglia contro l’azzurro del cielo, collocata entro una grande ancona lignea.